Famiglia in affanno, Paese più povero

Donne licenziate per maternità, giovani “nullafacenti” e famiglie sempre meno propense al risparmio. Sono gli aspetti più evidenti e preoccupanti dell’ultimo Rapporto Istat (Istituto nazionale di statistica) appena presentato e relativo ai dati 2010, che delinea il ritratto di un Paese statico, poco produttivo e indifferente alle tematiche sociali. Il Rapporto annuale, illustrato a Montecitorio il 23 maggio dal presidente dell’Istat Franco Giovannini, intitola Affrontare le vulnerabilità, assicurare la coesione, accelerare il cambiamento. «Il tasso di crescita dell’economia italiana è del tutto insoddisfacente e, per fronteggiare le recenti difficoltà, l’economia e la società italiana hanno eroso molte delle riserve disponibili», ha commentato Giovannini, il quale ha proseguito, indicando le “vittime” della congiuntura: «I giovani e le donne hanno pagato in misura più elevata la crisi, con prospettive sempre più incerte di rientro sul mercato del lavoro.

Si amplia ancora, inoltre, il divario tra le aspirazioni, testimoniate da un più elevato livello di istruzione, e le opportunità». Tra le osservazioni all’attenzione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il calo della qualità del lavoro. A fronte di un sensibile calo dell’occupazione standard, che corrisponde a una diminuzione di 2mila unità, si è evidenziato nel 2010 un consistente aumento dei contratti a tempo determinato e a orario ridotto. E, accanto all’aumento del tasso di disoccupazione, passato nell’ultimo biennio dal 6,7% all’8,4%, si è manifestato in maniera sempre più sensibile il fenomeno dell’inattività. Sono “inattive” le persone che non fanno parte della forza lavoro, classificate né come occupate né come in cerca di occupazione, una categoria che in Italia raggiunge il 37,8% della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, una delle percentuali più alte nel panorama europeo. E se si restringe la fascia di età, con uno sguardo rivolto ai giovani, le prospettive non migliorano: tra i 15 e i 29 anni sono sempre di più quelli fuori dal circuito lavorativo e formativo. Si tratta dei neet (dall’inglese not in employement, education or training), cioè coloro che non lavorano, non studiano e non si aggiornano e rappresentano il 22,1% dei giovani, 134 mila in più rispetto al 2009. Dalle classifiche del Rapporto annuale risulta indebolito anche il settore femminile: le donne ricevono uno stipendio poco gratificante (il 20% in meno rispetto agli uomini), spesso sono costrette a lasciare l’impiego per motivi familiari e nel 40% dei casi svolgono un ruolo che richiede un titolo di studio inferiore a quello da loro ottenuto. A questi numeri si aggiunge il raccapricciante 13,1% di giovani donne che hanno interrotto la propria attività lavorativa per una gravidanza, costrette a farlo dal datore di lavoro, quasi sempre, come assicura l’Istat, attraverso dimissioni firmate in bianco.

Questi fattori di difficoltà, che permangono ormai da decenni, non conducono a un miglioramento della situazione economica. L’Istat attesta che un italiano su quattro è a “rischio povertà”, si riduce il potere d’acquisto delle famiglie, che hanno una propensione al risparmio pari al 9,1%, l’inflazione sale al 2,6% e la crescita dell’economia è ferma allo 0,2%, contro una media europea dell’ 1,3%. In Italia si operano pochi investimenti nei servizi sociali? Non sempre. Come quasi sempre e in tutti i settori, si registra un forte divario territoriale, dai 30 euro di spesa pro capite in Calabria ai 280 nella Provincia di Trento.

Chiara Cavalleris

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