Vale la pena dare lavoro

«Sono finiti i tempi dei cestini intrecciati dai detenuti ». Il senso del seminario “Vale la pena?” sul lavoro in carcere svoltosi giovedì scorso a Fontanafredda è racchiuso in questa frase di Silvia Polleri, presidente della cooperativa Abc. La sapienza in tavola, attiva nel penitenziario milanese di Bollate. Oggi, in carcere si lavora, anche se non ancora abbastanza. E proprio dall’esigenza di far conoscere (e magari ampliare) le esperienze lavorative che coinvolgono i detenuti è nato l’incontro di Fontanafredda.

«Anche un solo reinserimento è un fatto positivo perché serve a gettare un seme», ha osservato il vicepresidente della Provincia Giuseppe Rossetto, citando le iniziative avviate nelle carceri di Cuneo e Saluzzo. Nel capoluogo esiste una collaborazione con l’istituto “Virginio” in campo florovivaistico per produrre fiori destinati alle aiuole pubbliche, mentre nel carcere di Saluzzo è attiva una sezione staccata del Bertoni, con un corso di design al quale sono iscritti 25 detenuti provenienti da tutta Italia.

«Il carcere è un luogo di espiazione, ma è anche una struttura che fa parte della città. Serve quindi la collaborazione di tutti», ha sottolineato la direttrice della Casa circondariale albese, Giuseppina Piscioneri. Per vinificare le uve prodotte nel vigneto realizzato nel carcere di località Topino è stato siglato un accordo triennale con la Scuola enologica e per promuovere iniziative di reinserimento dei detenuti è stato costituito il Gol (Gruppo operativo locale) Alba- Bra, che coinvolge, oltre ai due Comuni, anche Asl, Consorzi socio-assistenziali, Provincia, Centro per l’impiego e Comunità montana.

 

L’agronomo Giovanni Bertello e la direttrice Giuseppina Piscioneri.

 

Per l’attività agricola ad Alba, come ha sottolineato l’agronomo Giovanni Bertello, ci sono interessanti sviluppi che coinvolgono anche soggetti privati. È stato infatti trovato una sorta di… sponsor tecnico nella Syngenta, gruppo internazionale attivo nel campo delle sementi, nel settore degli agrofarmaci e in quello florovivaistico, che supporterà le iniziative avviate nella Casa circondariale albese. Dopo il vigneto e la serra, la prossima tappa sarà la realizzazione di un noccioleto.

Le iniziative per portare il lavoro in carcere si scontrano con problemi noti, dalla carenza di fondi, al personale insufficiente, al sovraffollamento degli istituti di pena. «La carenza di risorse c’è, ma la Regione non ha toccato i fondi per formazione. Crediamo nel recupero del detenuto e continuiamo a investire», ha affermato Andrea Tronzano, collaboratore dell’assessore regionale Claudia Porchietto.

«Se un detenuto non ha un lavoro tra le mani, avrà più difficoltà quando esce», ha ribadito Silvia Polleri, sottolineando che la recidiva (ossia, il rischio di tornare a commettere reati dopo la scarcerazione) è più bassa per chi dietro le sbarre ha imparato un mestiere. «L’80 per cento dei detenuti sono sempre gli stessi. È una spirale da interrompere e il lavoro può essere importante», ha affermato il comandante della Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Alba, Gerardo D’Errico. «Il lavoro è l’unica possibilità di recupero per il detenuto», ha aggiunto il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Aldo Fabozzi.

 

Le conclusioni sono state affidate a Sandro Durando, presidente di Cis (Compagnia di iniziative sociali, tra gli organizzatori del convegno), secondo il quale le esperienze illustrate testimoniano come sia possibile far diventare il carcere un luogo di lavoro. Avevano ragione gli organizzatori, quando hanno scelto il titolo del convegno. Vale la pena portare il lavoro in carcere. O, almeno, vale la pena provarci.

Corrado Olocco

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