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Alba e Italia ’61

L’anno centocinquantesimo dell’unità d’Italia – così variamente, riccamente celebrato – contiene il ricordo, e quindi la celebrazione, di un sotto-anniversario: quello dell’anno centesimo, che per un gran numero di italiani vivi e vegeti resta immesso negli archivi della memoria, in forma di fatti e soprattutto di sensazioni, come un file dell’infanzia o adolescenza nominato Italia ’61.

Beppe Fenoglio, Francesco Morra e Ugo Cerrato fotografati da Aldo Agnelli a una mostra d’arte a “Italia ’61”.

Beppe Fenoglio, Francesco Morra e Ugo Cerrato fotografati da Aldo Agnelli a una mostra d’arte a “Italia ’61”.

Italia ’61, teatro della quale fu naturalmente Torino prima capitale, fu un’iniziativa che segnò la sua epoca: un “evento”, per usare, forse per una volta non a sproposito, la parola attualmente più inflazionata della comunicazione ufficiale e spicciola. «Nessuna festa, nessuna ricorrenza, per Torino e per l’Italia sarà più alta e impegnata di quella dell’anno Sessantuno: un avvenimento irripetibile », si scriveva nel 1960, tanto per mettere sul gusto. Così oggi, dalla nostra prospettiva albese, sotto l’insegna della Fiera del tartufo, che non può non inserire frange di tricolore nei suoi manifesti, viene spontaneo andare a sfogliare le pagine di cinquant’anni fa, per curiosare nei programmi fieristici ma non solo: per misurare quantità e qualità delle iniziative prese, in quei giorni, nell’orbita di attrazione di Torino, dalla città di Alba.

Vittorio RiolfoUna parte notevole la svolse la giovane (era nata nel 1955), combattiva associazione culturale Famija albèisa, che aveva da qualche anno inaugurato presso la propria sede un ciclo di incontri stagionali assai seguiti, le Discussiôn en Famija, «libere riunioni aperte alle persone di buona volontà che vogliono interessarsi a problemi riguardanti la vita cittadina, la sua storia, i suoi prodotti», come le definì Vittorio Riolfo, uno dei soci fondatori.

Gli appuntamenti offrivano sempre spunti di analisi storica o critica, quando non erano occasioni di vera e propria denuncia dell’attualità, delle carenze o arretratezze della comunità, mai però alla ricerca della provocazione gratuita, anzi sempre in tensione costruttiva. Le cronache puntuali ed estese delle serate venivano riportate utilmente sul bollettino del sodalizio, Le nostre tôr; ma l’efficacia degli interventi e la rinomanza dei relatori le facevano uscire (com’era intenzione, del resto) dai confini di un’attività interna, e quindi anche i giornali locali, in primis il settimanale Gazzetta d’Alba, non mancavano di fornire ai propri lettori un resoconto non soltanto di routine.

Achille Dogliotti

In occasione di Italia ’61, la Famija si prese l’impegno di impostare un ciclo di cinque discussiôn «intonate a tali celebrazioni »: e la prima, svoltasi la sera del 5 aprile, venne affidata direttamente al presidente del comitato organizzatore battezzato Torino ’61, che era un albese, il professor Achille Mario Dogliotti. Per la verità, un albese onorario e in pectore (riceverà l’attestazione nel 1965, un anno prima della morte), che tuttavia molti legami di storia personale e di affetto aveva con la nostra città. Nacque in effetti a Torino nel 1897,masubito l’anno successivo la sua famiglia si trasferì ad Alba: il padre era medico condotto e ufficiale sanitario del Comune, e arrivò alla carica di sindaco (era primo cittadino quando nel 1913 avvenne l’improvvisa scomparsa del deputato e ministro albese Teobaldo Calissano, del cui funerale si possono vedere rari spezzoni filmati presso la mostra Le Langhe di Camillo Cavour).

Achille Mario, studente presso il liceo-ginnasio Govone, divenne una figura di medico e scienziato che non manca di essere citata e ricordata ancora oggi: se ne rievoca l’elevato profilo nella ricerca medica, le innovazioni messe a punto nella pratica della chirurgia cardiovascolare, la personalità e l’intelligenza carismatica, riconosciute in ambito internazionale.

Chiamato a inaugurare il ciclo delle discussioni risorgimentali alla Famija albèisa, fu suo compito illustrare lo scenario di Italia ’61, che aveva modificato il profilo della città di Torino con edifici (come quelli in corso Polonia per l’Esposizione internazionale) e installazioni di immediato, fortunato impatto (la famosa monorotaia, ad esempio, che deliziò più di una scolaresca in gita, ma che fu poi smantellata, rimanendo alla vista come un relitto in uno stagno) e offriva mostre, come quella di arti plastiche e figurative, destinate a far parlare. Ascoltato Dogliotti, la settimana successiva fu invitato ad Alba il giornalista torinese Ernesto Caballo, per una conferenza dal titolo curioso: Inventario e spirito del Risorgimento.

Redattore e cronista culturale della Gazzetta del popolo, scrittore di cose piemontesi e critico d’arte, Caballo intervenne più volte sulla scena albese nel dopoguerra, interessandosi alle fortune cittadine, come ad esempio aveva fatto nel 1957, quando si era deciso di restaurare e festeggiare con convinzione lo sferisterio Mermet che compiva cent’anni. Nel corso della serata in Famija, Caballo – ci dicono le cronache – sciorinò aneddoti e personaggi con piglio coloristico: ricordò «l’ambasciatore inglese a Torino Hutz, chiamato il piemontese di Londra perché del Piemonte aveva capito l’ansia di fare l’Italia una; i generali Lamarmora e Govone, resisi celebri il primo per l’istituzione del corpo dei Bersaglieri che ha portato persino una nota di colore nell’esercito per il cappello piumato, mentre il secondo, il generale temuto dai russi, fece sentire le aspirazioni del piccolo Piemonte tra le gustose bottiglie del Barolo servito sulle mense dei generali durante la guerra in Turchia».

In nome dello «spirito del Risorgimento» il relatore offrì la ribalta tra gli altri anche a Silvio Pellico e Vittorio Alfieri e ricordò come a Garibaldi il tessuto per le sue camicie rosse («i mille rasi di panno per le casacche dei suoi mille uomini ») venisse dal biellese. D’altronde, era stato proprio Caballo il curatore di un volume poderoso, enciclopedico, uscito a Natale del 1960 con il titolo Torino 1961. Ritratto della città e della regione, che in oltre 800 pagine raccoglieva più di cento contributi di scrittori, pittori, giornalisti, industriali, designer, editori, architetti, sportivi, fotografi, oltre a decine di schede con curiosità storiche firmate dallo stesso curatore. Si tratta di un’opera davvero notevole, messa insieme con materiali espressamente realizzati in meno di sei mesi (!), e promossa da un glorioso ente di cultura, quel Piemonte artistico e culturale di cui era presidente Enrico Martini “Mauri”, il maggiore comandante dei partigiani autonomi sulle Langhe nei venti mesi della guerra di liberazione.

Sulla spinta del successo di questo volume e per richiamare una coerenza ideale tra il Risorgimento, che aveva portato l’Italia all’unità nel 1861, e la Resistenza contro il nazifascismo che aveva portato l’Italia alla libertà, alla democrazia repubblicana e alla Costituzione tra il 1943 e il 1948, il Piemonte artistico e culturale produsse in breve un secondo libro, che intitolò emblematicamente Secondo Risorgimento. Il volume accompagnava la mostra di arti plastiche e figurative con lo stesso titolo, che vedeva autori come Cherchi, Chessa, Garelli, Guttuso, Morlotti, Migneco, Paulucci, Sassu, Tabusso, Treccani, Vedova, Zancanaro e molti altri alle prese con soggetti e situazioni quali partigiani e soldati, martiri ed eroi dell’antifascismo, fucilazioni, stragi di civili, campi di sterminio, eccetera: una rappresentazione esplicita, implacabile, ammonitrice.

Una necessità sentita, scrive “Mauri”, «nel momento in cui a nostro avviso, troppo poco si è fatto in sede ufficiale per ricordare agli italiani che la Resistenza non fu guerra civile ma consapevole battaglia di popolo per la libertà, così come a suo tempo fu il migliore Risorgimento (…). Una pagina di civiltà come la Resistenza non si ferma ai fatti d’arme, non soffre l’umiliazione della sterile commemorazione; per questo urge in noi il desiderio di continuare il discorso, ogni volta nella condizione in cui siamo: le tensioni, la fede, l’amore per la libertà sono gli stessi di allora».

Nella sezione dei racconti e delle testimonianze, tra gli autori che hanno fatto avere per il libro «un contributo libero e gratuito», per «dare una riprova delle loro convinzioni di allora », c’è anche il partigiano azzurro Beppe Fenoglio: che stacca un episodio da un romanzoche aveva appena interrotto, e lo trasforma con qualche ritocco nel racconto L’erba brilla al sole, dedicandolo «alla memoria di Dario Scaglione detto “Tarzan”», caduto a Valdivilla il 24 febbraio 1945. Grazie al solito Aldo Agnelli, l’inseparabile amico fotografo, abbiamo anche qualche fotografia che ritrae Fenoglio con Ugo Cerrato e Francesco Morra in visita a una mostra d’arte di Italia ’61: guardando gli scatti, e pensando al volume, possiamo dunque considerare Fenoglio come qualcosa di più di un semplice spettatore. Dopo le due conferenze “torinesi” di Dogliotti e Caballo, tra aprile e maggio 1961 la Famija albèisa aprì la sua sede (allora in via Maestra) per tre serate “albesi”.La prima della serie vide l’assessore comunale notaio Francesco Oddero impegnato a tratteggiare la figura di Camillo Benso conte di Cavour «nel periodo in cui fu sindaco di Grinzane». La cronaca della serata descrive un’atmosfera attenta, un oratore che per 90 minuti sa «incatenare gli ascoltatori» con fatti ed episodi documentati che «sono passati dinanzi alla mente degli uditori, ora in chiave umoristica ora in chiave di meditazione, per ciò che del grande diplomatico anticipavano ».

Seguì Oddero, a distanza di una settimana, il professor Emanuele Bormida, ispettore scolastico, che illustrò vita e carriera politica del ministro albese Michele Coppino, «letterato e parlamentare»; chiuse il ciclo il professor Leone Riccomagno, preside del liceo classico Govone, cui toccò presentare e discutere appunto la figura del generale e ministro della guerra Giuseppe Govone. Gazzetta d’Alba non offrì molti dettagli su queste due ultime serate; ma segnalò come i testi di Bormida e Riccomagno, ripresi dagli autori, finissero per essere pubblicati nel numero unico annuale della rivista di studi storico-archeologici del Museo, Alba Pompeia. Le conferenze seppero creare in tutta la città un clima di coinvolgimento, che non poteva che preludere a una gita a Torino, sui luoghi e alle “esperienze” del centenario: come in effetti la Famija albèisa si premurò di organizzare, per domenica 21 maggio 1961. Conuna quota di partecipazione fissata a 800 lire a persona, ci si pagava il viaggio e il biglietto d’ingresso a tutte le diverse esposizioni di Italia ’61. Erano tempi decisamente più rilassati, quelli: senza Internet né carta di credito, le prenotazioni si raccoglievano in tutta calma, ancora il giorno precedente la partenza.

Edoardo Borra

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