Ultime notizie

Kennedy e Medford Il tartufo del 1961 è americano

Il Tartufo bianco d’Alba è sempre stato – tra le molte cose – un misuratore della popolarità di questo o quel personaggio di attualità, non di rado passato poi alla storia o comunque rimasto in deposito nell’immaginario collettivo. Scegliere infatti di omaggiare un esemplare particolarmente prestigioso a una figura pubblica (presa dalla politica, dallo sport, dal cinema o dalla cronaca del momento) è una mossa azzeccata dal punto di vista della comunicazione commerciale: ma se agli inizi, oltre mezzo secolo fa, poteva trattarsi di uno scambio più vantaggioso per il tubero, bisognoso di maggiore rinomanza fuori porta, oggi possiamo ben dire che il rapporto è perlomeno paritario, dal momento che la fama del Nostro è divenuta internazionale.

giacomo-morraIl giocatore che per primo ha puntato su questo scambio è colui che si considera il promotore autentico della Fiera del tartufo d’Alba, il costruttore del suo mito: Giacomo Morra, (1889-1963), che vediamo nella foto, il figlio di mezzadri che, con intuito e intraprendenza, diventa un albergatore “rivoluzionario” in rapporto ai suoi tempi e soprattutto alla zona in cui si trova a operare. Negli anni Venti, Morra gioca la scommessa di recuperare un albergo in decadenza e trasformarlo (oggi si parlerebbe, asetticamente, di riqualificazione) come se si trovasse in una grande, moderna città. L’hotel Savona dovette sembrare, al colmo del suo storico splendore, una munitissima astronave; nella sala di controllo, su una qualche tolda o poltrona, siamo abituati a pensare a Morra che si calcola a mente le rotte lungo le quali spedire tartufi bianchi, grossi e bitorzoluti come certe creature di fantascienza (in tono con le foto in bianco e nero che lo ritraggono, calvo, asciutto, scherzoso, mentre soppesa “campioni” grossi come la sua testa).

Fin dagli anni Trenta, a Giacomo Morra si attribuisce, nei discorsi di piazza e sui giornali, il titolo di “Re dei tartufi”. Sentiamo che ne dice lui, in un’intervista (sapientemente sfruttata) del 1936: «Mi chiamano “Re del tartufo” perché di questa delizia parecchio me ne intendo e senza paura la commercio, ma siamo in tanti qui, quasi tutti, a saperla lunga sull’argomento. “Diamante grigio”, si è detto essere il tartufo. E grigio, d’un suo grigio speciale, dev’essere veramente, se è buono e se è dei nostri. L’occhio non sbaglia nel giudicarlo e meno ancora può sbagliare il naso. Il profumo varia da pezzo a pezzo: e lo stesso tartufo può profumare più oggi che domani. Anche in esso, infatti, vi è un grado di maturazione e, di conseguenza, il giorno del suo massimo gusto e profumo. Non basta, quindi, guardarlo. Bisogna anche, e bene, annusarlo. Perché quello delle Langhe è migliore d’ogni altro? Lo chieda al Creatore. È la terra di qui che lo fa tale ed è inutile che in altri posti si tenti di imbrogliare le cose. (…) Il tartufo si fa a cavallo di giugno e di luglio; se piove in questo periodo, ne patisce. In seguito, invece, resiste a tutto. Se ne trovano, infatti, anche dopo che è nevicato, fin’anche a Natale. Io però tengo tartufi tutto l’anno. Ho scoperto, infatti, un procedimento per conservarli: in scatola con un po’ di salamoia. È “l’elisir di lunga vita” del tartufo. E direi quasi che, dopo il trattamento, sono più buoni».

Ci sono qui già tutti gli elementi del più classico racconto che vede protagonisti, tra pubblicità e fiaba, il tartufo bianco (“diamante grigio”) e il sovrano Morra. Ma se Morra è stato incoronato fin dagli albori della Fiera, è altrettanto vero che il racconto, nel tempo, si è arricchito di altre figure di monarchi, anch’esse ormai parte della tradizione. D’altronde, diceva appunto lui stesso, «siamo in tanti qui, quasi tutti, a saperla lunga sull’argomento».

Così, trent’anni e un paio di Italie più tardi, il cronista inviato a seguire le sorti commerciali, folcloristiche e gastronomiche della Fiera, poteva disegnare una mappa piuttosto articolata del dominio “tartufifero” albese nell’anno di grazia 1964. A partire da una triade di regnanti, registrati col semplice cognome, ormai noto al pubblico: Morra, Ponzio e Agnese. Giacomo Morra, per la verità, era scomparso a dicembre dell’anno precedente: era perciò, quella, la prima Fiera svolta in sua assenza; rimaneva certamente il suo nome, come un marchio che viaggiava da sé. Ecco la descrizione del giornalista: «Il terzetto Morra, Ponzio e Agnese merita una presentazione particolare. Morra è il “capostipite” della fortuna del tartufo di Alba. Il primo regnante, che fu proprio soprannominato “Re dei tartufi”. Giacomo Morra ha lasciato in eredità il titolo a Giorgio, il più giovane dei suoi figli, che lo perpetua con lode (…). Giorgio Morra ha una tradizione da difendere. Il “re” suo padre fu molto gradito nelle varie corti, con i suoi tartufi regalati: troviamo, in un lungo elenco: Mussolini, Hitler, Starace, Vittorio Emanuele III e suo figlio Umberto, i re del Belgio, Eisenhower, Truman (che ebbe un tartufo record, di due chili e 250 grammi), Churchill, Rita Hayworth, Hitchcock, Kennedy, Kruscev, Elisabetta d’Inghilterra, Pio XII, Giovanni XXIII, Gronchi, Segni, Bartali, Coppi, Mike Bongiorno e altri ancora. Il cav. Roberto Ponzio si dà da fare, non per spodestare questa monarchia, troppo solida, maper garantirsene una fiancheggiante. Egli si accontenterebbe di consolidare il titolo di “re dei tartufi di Alba” lasciando ai Morra la qualifica di “re di tutti i tartufi”. Fra i due, modesto ma solido, Giovanni Agnese dice: “Fra queste monarchie, io faccio la repubblica”. Per l’appunto,modesta ma solida».

Questo scenario di corti, tradizioni, monarchie confinanti e patenti personalizzate ha il sapore, per noi oggi, di un’Italia diversa, antica, forse classica, in cui si giocava (in provincia, ma senza sentire limitazioni) con passione ed energia la corsa all’invenzione, all’originalità. Era lo scenario di una grande piazza di paese che vedeva passare campioni (sportivi o “civili”) e creava dualismi per cui entusiasmarsi: sarà una semplificazione dolciastra fin che si vuole, ma Don Camillo e Peppone, come Bartali e Coppi (o Manzo e Balestra, campioni rivali del pallone elastico) funzionavano davvero come modello per dividersi restando uniti. I due “re” Morra e Ponzio – oggi nomi che restano nel racconto del tartufo – potrebbero bene stare in piazza, a far parte di quel gruppo. Nel 1961, l’anno del centenario dell’unità d’Italia che abbiamo largamente ricordato in questo inserto speciale del nostro giornale, i due re si sono divisi la ribalta, nel gioco dell’omaggio al grand’uomo di turno. Ponzio spedisce il migliore dei suoi pezzi a Charles De Gaulle, presidente della Repubblica francese (da lui inaugurata nella quinta versione), alle prese in quel momento con questioni piuttosto spinose (ad esempio la dura guerra d’Algeria) e un’ansia plebiscitaria che farà assai discutere. Ce lo immaginiamo, il Generale, mentre allinea il tartufo di Ponzio accanto ai vari cavalierati, croci e catene onorifiche nel suo studio all’Eliseo. Giacomo Morra, sul suo pacco, scrive invece l’indirizzo della Casa Bianca: è John Fitzgerald Kennedy il fortunato destinatario di una trifola di più di mezzo chilo (prezzo: sessantamila lire di allora). I presidenti degli Stati Uniti sembrano essere prerogativa di Morra (mentre forse, se non ci sbagliamo, la Regina d’Inghilterra, al suo elenco attribuita, era stata in realtà omaggiata da Ponzio). Nel 1961, del resto, gli Usa sono quanto mai di casa ad Alba: il gemellaggio con la città di Medford, nell’Oregon, approvato e sancito ufficialmente l’anno precedente, “entra in funzione”. È l’11 ottobre, infatti, quando nelmunicipio di Alba il sindaco Osvaldo Cagnasso compie «la simpatica cerimonia del gemellaggio», alla presenza di una delegazione di diciassette persone di Medford, approdate ad Alba (dopo aver visitato Roma, Firenze e Venezia) «con precisione tutta americana, alle 18 precise come avevano preannunciato» (così annota, sintomaticamente, la Gazzetta d’Alba).

cagnasso

Cagnasso, «lieto di accogliere e dare il benvenuto ai graditi rappresentanti della città più lontana che finora abbia desiderato il gemellaggio con Alba», procede allo scambio dei doni. L’anno seguente toccherà ai primi studenti albesi, su invito di John Snider, sindaco di Medford, trascorrere un periodo negli Usa, oggi molto meno lontani ai nostri occhi, inaugurando una consuetudine che ha cementato nel tempo amicizie profonde.

Edoardo Borra

Banner Gazzetta d'Alba