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L’Italia può ritrovare la strada

Don_SciortinoParlare di tutto cristianamente. Con questo progetto il beato Giacomo Alberione dà vita a Famiglia Cristiana. Siamo ad Alba, nel 1931. Alberione è convinto che la nuova frontiera dell’evangelizzazione siano i mezzi di comunicazione. Alla società San Paolo, dopo ottant’anni, si va avanti nel suo solco, con nuovi mezzi ma identico spirito, tanto che il settimanale diretto da don Antonio Sciortino, con i suoi tre milioni e mezzo di lettori, è uno dei periodici più diffusi nel Paese. Il compleanno di Famiglia Cristiana sarà ricordato ad Alba il 19 novembre per iniziativa del Comune e di Gazzetta d’Alba.

Alle 18 nel palazzo delle mostre e dei congressi di piazza Medford don Sciortino (foto) dialogherà con il sindaco Maurizio Marello, introdotto dal direttore di Gazzetta e condirettore di Famiglia Cristiana don Antonio Rizzolo. Durante la serata sarà presentato anche il volume edito da Gazzetta, Un cammino di luce, di Severino Marcato. Le risposte di don Sciortino alle nostre domande sono un interessante anticipo dell’incontro.

Famiglia Cristiana compie ottant’anni mentre l’Italia ne festeggia centocinquanta. Come s’intreccia la storia del settimanale nato ad Alba con quella del Paese, don Sciortino?

«La coincidenza delle due ricorrenze, gli ottant’anni di Famiglia Cristiana e i centocinquanta dell’unità d’Italia, ci hanno fatto coniare un singolare slogan: “Rilanciamo la famiglia Italia”. A significare quanto ci stiano a cuore questi due beni preziosi: la famiglia e il Paese. Soprattutto in un momento in cui la famiglia è oggetto di attacchi, a livello culturale e sociale, che vorrebbero decretarne la morte. Come qualcosa del passato, da rottamare. E non un bene prezioso, una risorsa (semmai ignorata) di cui l’Italia non può fare a meno. Spesso l’ultima àncora di salvezza, per un Paese in declino, che si sta frantumando. Assieme alle coscienze dei cittadini, sempre meno orientate a solidarietà e bene comune. Da ottant’anni raccontiamo la famiglia. E, al tempo stesso, la vita del Paese. Con le difficoltà, le tensioni, gli scontri e i momenti difficili. Ma anche con l’entusiasmo, l’ottimismo e la voglia di crescere e costruire che ha caratterizzato il Paese. Soprattutto negli anni del dopoguerra, portando l’Italia a essere una delle prime potenze economiche al mondo. In occasione dei nostri ottant’anni e a fronte della grave crisi economica ed etica in cui versa il Paese, noi torniamo a raccontare con più forza la famiglia, come l’“istituzione” che davvero salverà il Paese. Come elemento di coesione nazionale e sociale, soprattutto in una stagione economica e politica così difficile. Aspetto, questo, colto molto bene dal presidente Giorgio Napolitano, che nel messaggio inviatoci per la ricorrenza, ricorda che “la famiglia è una straordinaria risorsa sia per il rinnovamento etico di cui ha bisogno il Paese, sia per lo sviluppo di una società aperta e solidale”».

Nel suo libro, Il limite, i lettori di Famiglia Cristiana tracciano una fotografia molto amara del nostro Paese. A suo avviso, la percezione di aver superato il livello di guardia potrà aiutarci a ritrovare la strada?

«Lo spero tanto. E ci sono diversi segnali di ripresa. A cominciare dal risveglio e maggiore partecipazione dei cittadini alla vita del Paese e alle scelte che li riguardano. In questi ultimi anni, il “limite” l’abbiamo superato abbondantemente. In ogni campo. Da quello della decenza agli stili di vita immorali e antievangelici. Per non dire del buon senso. L’Italia del domani ha bisogno di valori robusti. E più dignità civile, morale e religiosa. Come scrivono i lettori, occorre occuparsi seriamente dei veri problemi del Paese. Con una forte iniezione etica in tanto relativismo morale. Tornare a essere il Paese degli onesti, che riconosce merito e preparazione. Non più il Paese dei furbi, dove si insegna ad aggirare le leggi, corrompere, evadere le tasse e giungere al successo tramite scorciatoie e favori, e non attraverso gli studi e una seria formazione. Ma occorre tornare a raccontare il volto reale del Paese, che è quello della precarietà e della povertà. I dati Istat ci dicono che abbiamo otto milioni di poveri. Le famiglie non arrivano più alla terza settimana con la spesa. C’è una disoccupazione giovanile al trenta per cento, con punte più avanzate nelle regioni del Sud. Due milioni e mezzo di giovani, dai quindici ai ventinove anni, né studiano né lavorano. E quei pochi che riescono, il futuro lo cercano all’estero, impoverendo il Paese delle migliori e più fresche energie. Un giovane su tre è senza lavoro, senza speranza e futuro. Una vera “mina sociale vagante”. Chi programma il futuro dell’Italia (ammesso che qualcuno lo stia facendo) non può prescindere da questa realtà. Soprattutto per un Paese che, col tasso di natalità più basso al mondo, si avvia al “suicidio demografico”. La speranza potrà nascere dalla capacità di indignarsi e saper reagire; da una maggiore partecipazione alla vita sociale del Paese, senza più deleghe in bianco; da una nuova classe dirigente e di cattolici in politica, come invocato dal Papa e dai vescovi. Ma una politica di servizio ai cittadini. Quella che Paolo VI diceva essere “la più alta forma di carità in vista del bene comune”».

Maria Grazia Olivero

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