Stefano e Nicolò in Australia

Stefano Marino e Nicolò Zanetti (foto) sono stati compagni di classe per cinque anni presso l’istituto Umberto I di Alba, diplomati nel 2006. Forti della loro preparazione teorica e dell’esperienza acquisita in quattro anni di lavoro decidono di partire, approdando a un mondo del tutto diverso.

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Il 31 dicembre 2010 Stefano e Nicolò firmano le dimissioni e il 21 gennaio 2011 atterrano a Sydney: è tempo di vendemmia. Vogliono imparare l’inglese, lingua che nella loro scuola non si insegna, e provare a lavorare in una realtà nuova, dove la produzione del vino esiste solo da un secolo. Gazzetta ha colto l’opportunità di incontrarli al ritorno in Italia, dopo sei mesi di Australia.

Qual è stato l’approccio a questo nuovo mondo? Stefano: «Difficile. Non sapevamo da dove iniziare, non conoscevamo la lingua e dovevamo trovare un lavoro. Appena arrivati abbiamo prenotato un ostello per una settimana, sicuri che avremmo trovato qualche cosa da fare. Abbiamo affittato un’auto e iniziato a girare l’isola. Ci sentivamo come venditori porta a porta, ci fermavamo a ogni cantina, lasciavamo il curriculum speranzosi di essere chiamati, almeno per il periodo della vendemmia. Ma i giorni passavano e avevamo sempre meno denaro. Pochi giorni prima della fine di febbraio siamo stati chiamati da una piccola cantina di Adelaide, nella Barossa Valley, una delle regioni più rinomate dell’isola per la produzione vinicola».

Com’è organizzato il lavoro nel settore enologico? Nicolò: «L’Australia è una terra giovane e poco popolosa, ma con molto entusiasmo e voglia di sfondare il mercato. Gran parte del lavoro in vigna è meccanizzato: le dimensioni delle cantine variano dai 20 ettari ad alcune centinaia. Esiste una figura specializzata per ogni mansione, ma noi ci siamo adattati a qualsiasi compito. La cosa che più ci ha stupito è stata la vendemmia. Tutto il lavoro è fatto dalle macchine. Aspettavamo in cantina l’arrivo delle uve per iniziare con la pressatura. Le tecniche di produzione invece sono poco avanzate. Le attrezzature enologiche sono italiane, mentre le tecniche d’invecchiamento sono francesi; l’80 per cento del vino è barricato e supera i quattordici gradi».

Stefano: «Ad Adelaide abbiamo imparato a utilizzare i diversi strumenti per la lavorazione del vino e il corretto funzionamento di ogni sistema. Le uve sono eccezionali. I vitigni sono tutti importati perlopiù più Pinot, Merlot, Chardonnay, Fiano, Barbera e Nebbiolo. La terra è molto fertile, perciò è sufficiente una concimazione. In ogni cantina, dalla più piccola alla più estesa, vi è una sorta di reception in cui vengono accolti i clienti e fatti degustare i prodotti. La maggior parte della produzione è però destinata all’esportazione. La cultura del bere sta prendendo piede solo ora, grazie anche agli ottimi risultati della produzione. I ritmi di lavoro sono più tranquilli e anche i rapporti con i datori di lavoro sono diversi, non solo in campo enologico. L’Australia è un Paese in cui vale la meritocrazia e ai giovani viene lasciato spazio».

C’è ancora Australia nel vostro futuro? «Il 28 dicembre partiremo di nuovo, raggiungendo Sydney il giorno successivo. Non abbiamo idee molto chiare sulla durata della nostra permanenza, ma parteciperemo a un’altra vendemmia. Siamo intenzionati a rinnovare il primo visto che ha durata di un solo anno. Ci stiamo attivando per ottenere il permanent visa, una sorta di residenza australiana, possibile se si possiede un contratto di lavoro a lungo termine. Siamo rimasti in buoni accordi con la cantina, che ci ha promesso un contratto di due anni. In Australia ci aspettano molti amici italiani e tedeschi, una casa in affitto e un’auto, frutto dei nostri guadagni».

Manuela Anfosso

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