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Georg alla scoperta di un altro mondo

Georg Hager è un insegnante di 56 anni. Vive a Böblingen, Comune tedesco di 46.380 abitanti gemellato con Alba, situato nel Land del Baden-Württemberg. Sentirlo raccontare, flemma tedesca e italiano incerto, del centro di accoglienza di via Pola è un’esperienza da non perdere. Georg nelle settimane scorse ha «preso un anno di pausa» ed è arrivato, capelli candidi e sorriso smagliante, in città. Non per bere Barolo o inebriarsi del gusto del tartufo, ma per scoprire gli ultimi, quelli che forse nemmeno molti albesi hanno ancora realizzato esistano anche sotto le torri. Ora, Georg ha chiuso la sua esperienza piemontese, ma gli è rimasto il desiderio di raccontarla, per condividerla e pure, forse, per comprenderla.

Parliamo di lei, professor Hager.

«Ho una moglie, Bettina, e due figli di 22 e 19 anni, Tino e Pia. La ragazza ha appena compiuto un’esperienza di volontariato in Nepal. A qualche anno dalla pensione – in Germania si lascia il lavoro tra i 63 e i 65 anni – ho sentito l’esigenza di fermarmi, prendermi una pausa, mentre il mondo mi vorticava attorno. I miei amici preferiscono lavorare duro, in vista di un futuro di riposo. Io ho ragionato diversamente. Anche in occasione della nascita dei miei figli, del resto, ho usufruito del congedo parentale, restando a casa: mia moglie è una libera professionista e io ho cresciuto i ragazzi, con i quali, anche grazie a questa esperienza, ho instaurato uno splendido rapporto».

Che senso ha per lei questa nuova pausa?

«Anche se amo molto insegnare nella scuola statale di Böblingen, volevo fare qualcosa per gli altri: all’inizio pensavo al Terzo mondo. In Europa stiamo diventando troppo egoisti, chiusi in noi stessi. Così, ho creduto di avere necessità di fare un’esperienza di ascolto e aiuto del prossimo. Avrei potuto scegliere l’Africa, poi ho preso contatto con il mio Comune, Böblingen, dove sono stato indirizzato al Comitato di gemellaggio con Alba, che mi ha seguito nella ricerca di un luogo in cui sperimentare il mio desiderio di rendermi utile. Giunto in città, sono stato accolto al Centro di accoglienza di via Pola, dove ho realmente scoperto “un altro mondo”».

Che cosa ha fatto?

«Sono rimasto sette settimane, dando una mano in quattro strutture. Al mattino stavo in corso Langhe, ad Altromercato, nel pomeriggio mi recavo alla cooperativa Insieme di via Pola, mentre la sera e la notte la trascorrevo al Centro di prima accoglienza. Il sabato, infine, mi immergevo nel mondo di abiti usati di Gira e rigira. Ho vissuto un periodo intenso, molto particolare, scoprendo una realtà che nemmeno pensavo esistesse».

Conosceva l’Italia?

«Certo, ma solo per turismo. E ne avevo un’immagine del tutto differente. Mi sono occorse alcune settimanae per abituarmi al clima del Centro di prima accoglienza e ai suoi ospiti. Ho conosciuto una ventina di persone, immigrati maanche italiani, gente che ha perso casa, lavoro e speranze e che talvolta è vittima della situazione in cui si trova: al Centro ho vissuto anche momenti di tensione. Ho peraltro instaurato un ottimo rapporto con gli organizzatori e ho cercato di stare accanto alle persone, anche se non dispongo di una preparazione specifica».

L’esperienza l’ha cambiata?

«Mi ha sorpreso l’intensità di questa realtà, dalla quale sono stato sconvolto, tanto che devo ancora tirarne del tutto le somme. Ora vedo i barboni in strada con occhi nuovi. Forse, ho imparato che anche senza denaro si può sorridere».

Maria Grazia Olivero

Foto Marcato

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