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Storie Precarie

Ogni giorno un nuovo contratto

“M., 26 anni albese, ha lavorato molti mesi con contratti giornalieri, della durata di un turno di lavoro. Sembra incredibile, ma è davvero così. Il contratto di lavoro copre lo spazio di un soffio e rischia di rubare la vita. Racconta la giovane albese: «Ho trovato questo impiego tramite un’agenzia interinale: passavo la giornata a spedire pedane di diversi materiali in tutta Italia. Il problema si è presentato quando questi contratti di un solo giorno si sono trasformati in abitudine. Poche ore prima d’iniziare il turno, sia esso di giorno o di notte, ricevevo una chiamata senza preavviso dall’agenzia interinale che mi confermava il contratto per il giorno stesso. Non potevo uscire, ero sempre chiusa in casa ad aspettare una telefonata. Niente mutua, niente ferie, ogni rifiuto alle chiamate implicava una diminuzione e al tempo stesso un minor stipendio».

Le persone che lavoravano con M. erano nella medesima situazione; molti di loro hanno deciso di licenziarsi per lavorare in cooperative, nonostante lo stipendio sia di molto inferiore. I contratti atipici dovrebbero essere utilizzati dalle imprese per un imprevisto picco di lavoro e invece sono diventati il sistema per non accordare un contratto – a tempo determinato o indeterminato – ai giovani, abbandonandoli alla precarietà.

m.a.

Il Canada o la Germania per lavorare

“Stefano, 24 anni, nel 2010 si è laureato in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia. «Ho scelto la facoltà per l’utilità sociale e la richiesta di questa qualifica. Al termine degli studi però le opportunità si erano ridotte a causa dei tagli alla sanità», racconta Stefano, commesso in un supermercato. Dopo un anno trascorso nella speranza di vincere un concorso per accedere alle strutture ospedaliere, il giovane ha deciso di indirizzarsi verso altre professioni, per soddisfare il suo desiderio di emancipazione. Un mese in un call center a Torino, sei mesi in una multisala, operaio presso un’azienda di lavorazione di materie plastiche; nessun impiego in grado di appagare gli anni trascorsi sui libri. Stefano: «Le opportunità nel settore in Italia sono pochissime, ogni anno si laureano cinquanta tecnici, che incrementano il numero dei precari. Il problema è la differenza tra i posti disponibili, nonostante si tratti di una facoltà a numero chiuso, e la richiesta di mercato». Oggi Stefano sogna di fuggire all’estero, magari in Germania o Canada, dove la qualifica è molto richiesta; è difficile però pensare di partire quando non si ha una buona disponibilità economica.

m.a.

Irene, costretta a perdersi i sogni

“Irene, 31 anni, vive una vita da precaria. Prima ha fatto la baby-sitter, poi l’allenatrice; entrambi i lavori in nero e nel secondo caso la retribuzione arrivava tramite contanti in una busta a fine mese. Dai 22 ai 29 Irene si è dedicata allo sport, passione e ambizione, in quanto frequentava il corso universitario in scienze motorie. Ogni contratto era co.co.c.o. oppure co.co.pro. «Ho sempre considerato il sistema una legalizzazione del lavoro in nero; avevo il terrore di ammalarmi, di farmi male e speravo che qualche collega non si presentasse alle lezioni per racimolare qualche ora in più», afferma la ragazza, oggi operaia. Tre anni fa ha deciso di abbandonare ogni sogno e di entrare in fabbrica, ma anche qui è precaria. Dal 2009 le vengono stipulati due contratti per quattro mesi consecutivi per poi interrompere il rapporto di lavoro e iniziare daccapo. In questo modo le aziende non sono tenute a un contratto a tempo indeterminato. «Non posso richiedere un finanziamento, un mutuo e non riesco a risparmiare. Ho paura degli imprevisti, ma ciò che mi spaventa è il fatto di non poter diventare mamma, sarà tardi quando riuscirò ad avere un posto fisso?».

m.a.

Foto Images.com, Corbis

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