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Adriano Fabris: Responsabilità e senso critico per cogliere le risorse dei nuovi media

È un pubblico attento quello che ha accolto Adriano Fabris dell’Università di Pisa, ad Alba per l’ultimo dei Lunedì di San Paolo, il 12 marzo. Il filosofo è intervenuto sul tema I media tra inganni e risorse. Gli Orientamenti pastorali della Conferenza episcopale italiana offrono lo spunto per riflettere sullo sviluppo del mondo della comunicazione. I nuovi media portano a rivoluzioni in ambito comunicativo che possono lasciare incerti o indifferenti, senza che si riesca acomprenderne in pieno le possibilità. Per questo è importante un approccio critico. 

Professore, come sta cambiando il mondo dei media? «È in continua e fortissima espansione. Il problema è però che l’evoluzione ha una serie di conseguenze per i canali tradizionali, i quali per sopravvivere devono contaminarsi con le nuove tecnologie. Cadono i confini: la digitalizzazione della televisione apre la frontiera dell’interattività tra televisione e web. Così cambia anche il giornale: c’è chi prevede l’ultima copia cartacea del New York Times nel 2022, quando nessuno più leggerà questo formato abbandonato per il mezzo digitale. Cambia la fruizione della notizia. L’idea di sviluppo si articola nelle sue declinazioni di connettività e integrazione. Il soggetto diventa il punto di riferimento e cambia la percezione della soggettività e della collettività».

Ma tutto questo non porta confusione? «È l’effetto di essere inseriti in un’overdose di processi comunicativi. Si cambia il senso del nostro linguaggio: la parola “amico” ha un valore del tutto diverso dall’ “amico” di Facebook, al quale non racconteremmo mai le nostre emozioni più intime. Ma nel mondo contemporaneo vengono meno queste differenze e il problema è mantenere distinti i diversi piani relazionali. Il risultato è che siamo un poco meno umani, perché possediamo possibilità ulteriori che ci permettono di esprimerci, quindi meno consapevoli delle nostre potenzialità. La tenzenza è ad un generale appiattimento».

Nella rivoluzione tecnologica ha ancora un valore la nostra scelta? Come si pone il singolo davanti al cambiamento? «La domanda dal punto di vista filosofico è: qual è lo spazio delle mie scelte e che cosa è buono? Non posso considerare il mio essere nella comunicazione solo dal punto di vista della competenza tecnica, quella di chi “smanaccia” senza interrogarsi sul senso delle proprie azioni. Aristotele insegna come la nostra natura sia caratterizzata dalla capacità di comunicare. Ma l’uomo non nasce “imparato”, come dicono a Napoli, anzi deve sviluppare competenze, da una parte di tipo tecnico e dall’altra di tipo utilitaristico, senza che le due cose si disgiungano. E la competenza comunicativa dev’essere sempre più adeguata al proprio senso critico».

Come si fa a non cadere nell’appiattimento? «Il tema chiave è quello della responsabilità. Se assumiamo consapevolmente l’azione comunicativa come qualcosa di cui siamo responsabili sia per le conseguenze che per i criteri del suo utilizzo, allora possiamo riuscire a trasformare i rischi in possibilità e in risorse. E la responsabilità va assunta nell’ambito e nel contesto del proprio agire individuale. L’educazione può avere il compito importante di facilitare e sollecitare una presa di coscienza più adeguata».

Alessandro Costa

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