I Bulli non abitano in città

Se le scuole italiane sono il mare in tempesta, il bullismo è il petrolio che dilaga. L’esploratore delle acque è l’Eurispes (Istituto di ricerca nato nel 1982), che nel suo ultimo rapporto analizza in maniera dettagliata il fenomeno. Secondo l’Istituto, i dati raccolti sono la prova dell’eccessiva permissività dimostrata dai genitori, che spesso, troppo occupati a fronteggiare situazioni economiche in bilico, preferiscono evitare discussioni. Quindi può anche essere in parte “colpa” della crisi, se nel Bel Paese i ragazzi senza regole e senza modelli offendono e provocano verbalmente il 28,3 per cento dei loro compagni, fisicamente il 7,8 per cento. Tra gli spettatori dei maltrattamenti l’11 per cento reagisce col silenzio, preferisce non intervenire per paura o indifferenza. Come se tutto fosse un telefilm con lo schermo del timore a impedire ogni dinamismo. E la trama si complica, se si aggiunge il 10 per cento degli alunni che sostengono i bulli direttamente o indirettamente: c’è chi in tutto e per tutto imita o chi si limita a guardare, provando ammirazione. Un incoraggiamento per i prepotenti a ostentare maggiormente la propria forza. Sul territorio la situazione pare controllata. Lo afferma Giuseppina Intravaia, dirigente sanitario psicologo dell’Asl Cn2 e coordinatrice del progetto di prevenzione del bullismo nelle scuole medie primarie del circondario di Alba e Bra. Il suo punto di vista scredita la situazione di allerta denunciata negli ultimi anni dai media. «Per bullismo si intende un comportamento aggressivo dimostrato in presenza di un pubblico consenziente nei confronti di elementi dai tratti caratteriali più fragili. In altre parole il ragazzo è definito bullo quando una o più persone appoggiano la sua prepotenza, direttamente o indirettamente.

Nelle scuole della zona Alba-Bra questo tipo di episodi si verifica raramente. Esistono tra gli alunni offese verbali e “prese in giro” (che tuttavia non possono essere definite propriamente violenze), ma sono rare le situazioni in cui nessun presente si interpone tra chi esibisce forza e chi la subisce. I media tendono all’esagerazione. Reputiamo comunque indispensabile operare per la prevenzione. Sono state infatti coinvolte nel nostro progetto (realizzato grazie all’impegno di Francesco Morabito, direttore sanitario dell’Azienda) quindici medie primarie, di cui due albesi (metà della “popolazione” scolastica media). L’intento è di rendere consapevoli gli alunni: per evitare che accadano alcuni comportamenti è necessario prima sapere da che cosa sono generati. Per chiarire questo concetto gli psicologi dell’Asl Cn2 incontrano due ore a settimana gli studenti e discutono di quanto sia complicato (per coloro che sono definiti bulli) nascere e crescere in situazioni e contesti in cui l’attenzione ricevuta è scarsa».

Marco Viberti

foto Corbis

In classe il branco colpisce i deboli

Nei suoi libri Charles Darwin non avrebbe mai potuto utilizzare il neologismo “bullismo”, ma già ne evoca il concetto nell’Origine dell’uomo. Quando la sensibilità e il rispetto sono sostituiti dal desiderio di supremazia l’uomo diventa animale e come esso si rende privo di cuore e intelletto.  A.M., studente di Alba, non tollera chi rinuncia al pensiero; la sua testimonianza denuncia casi ripetuti di bullismo verificatisi nella sua scuola, nell’astigiano. «Un ragazzo portatore di handicap, un professore e una ragazza di origine straniera: sono questi i bersagli prediletti del gruppo; nella mia scuola, una dozzina di ragazzi agisce contro chi è più debole ogni mattina, con le stesse modalità: prima gli insulti, poi i gesti ingiuriosi, fino ad arrivare alle botte», racconta A.M.

Prosegue il giovane: «Conosco la storia dei singoli individui che compongono il gruppo. Ci si aspetterebbe che la causa del bullismo sia solo un disagio sociale, tuttavia parte dei miei compagni ha alle spalle una famiglia benestante e attenta alla buona condotta. Spesso la sete di supremazia deriva dalla noia: se si è abituati a ottenere senza fatica ciò che si desidera, se tutto e subito diventano parole chiave della propria esistenza, si giunge a un punto in cui nulla basta più. Ma l’atteggiamento che più mi sconvolge è l’incitamento che i docenti rivolgono ai ragazzi: li incoraggiano a scaricare la propria rabbia sugli individui in apparenza più fragili. Sento ogni giorno frasi come: “Ragazzi, silenzio! Sto spiegando matematica; importunate lui, non me!». Loro seguono alla lettera l’invito del professore e anche durante le ore di lezione volano calci e pugni. Il mondo è alla rovescia. Inizialmente non potevo che rimanere incredulo, con me la classe intera: si crea una sorta di paralisi, uno shock di fronte a una realtà così cruda: è come se le notizie dei telegiornali, le scene violente dei film piombassero d’improvviso nella realtà. Non mi sono rivolto alle autorità per timore, tuttavia, in qualche modo, la paura va affrontata se si desidera un cambiamento. In altre parole, questa intervista rappresenta perme un rischio enorme, ma sono convinto che solo raccontando la nostra storia si possa continuare a sperare».

mar.vi.

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