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Quando l’anima passa per un filo elettrico

LA STORIA • Ci racconta la sua storia Adriano, 50 anni, un’attività di elettricista in proprio, un appartamento nei dintorni di Alba, due figli che vanno all’Università, una ragazza al liceo. Non vuole svelare il suo nome per timidezza, per non ingelosire i colleghi. La strada se l’è costruita mattonella dopo mattonella in tempi in cui il lavoro richiedeva più sudore ma consentiva di arrivare dovunque, perché «non c’erano le magagne di oggi, la disoccupazione e la disperazione».

La sua è stata una fortuna umana e pratica: aveva l’ambizione di crescere, ha trovato il vaso in cui farlo. A 15 anni si è presentato dal titolare di una piccola azienda elettrica albese dicendo: «Voglio lavorare per lei, voglio diventare elettricista. Può aiutarmi?». L’imprenditore ha risposto: «Prendi quella cassetta dei ferri». Prima che le mani, i pensieri e le conoscenze si accordino, convergano verso un comune e stabile punto di equilibrio ci vogliono anni. Ci vuole pazienza per interiorizzare il mestiere, per destreggiarsi tra cablaggi e labirinti di rame. Spiega Adriano: «All’inizio seguivo il titolare ovunque, senza fare nulla ma solo guardando. Poi, ho cominciato a tirare cavi con la sonda, ad avvitare e svitare, usare cacciaviti, forbici, brugole, nastro isolante. Studiavo i bulloni, i tasselli e le giunture: il linguaggio curvo o rettilineo degli oggetti e degli strumenti con cui modificarli. Poco alla volta imparavo un’altra lingua». Parlavano poco, lui e il capo. Non c’era bisogno di troppe parole perché il legame si trasmetteva su altri canali: «Attraverso il rame dei fili elettrici o le fascette di plastica per stringere le canaline: questo era il nostro conversare, così siamo diventati amici». Dopo dieci anni, Adriano sapeva realizzare un impianto elettrico a norma con le indicazioni europee, con gli standard di sicurezza nazionali. Era la sua consacrazione al mondo, il passaggio da apprendista a lavoratore.

Così ha lasciato l’azienda in cui ha lavorato tutta la vita e si è messo in proprio. «Non è stata una scelta facile. Ma sentivo che il frutto di tutti quegli anni doveva germogliare, e lo poteva fare solo attraverso la separazione dall’azienda che mi aveva accolto per così tanto tempo». Adriano sa che oggi non c’è più questa “tensione” verso l’apprendimento, la volontà di trasmettere saperi a costo di rischiare e di investire sulla formazione. Adriano ricorda quando il suo maestro lo ha salutato l’ultimo giorno di lavoro: non l’ha neanche guardato in faccia. «Forse piangeva», dice. «Queste cose non succedono più. Ci sono distanze che non s’immaginano. Il filo di rame diventa solo un mezzo per guadagnare le buste paga. Una volta, in quel rame ci passava tutto».

m.v.

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