Allarme femminicido

Gentile Direttore, scrivo sinceramente allarmata da un’evidenza: l’allarme femminicido nelle nostre zone.

L’incidenza di uccisioni di donne tra le notizie delle nostre cronache locali sta assumendo una dimensione preoccupante. In effetti, nonostante il luogo comune secondo il quale il sessismo è più incisivo al Sud, i dati ci dicono che le donne vengono ammazzate specialmente al Nord, e noi non facciamo eccezione.

In Italia fino a pochi decenni fa la motivazione dell’onore e della salvaguardia della reputazione era un’attennuante. Assimilare a livello culturale l’idea che non è più così non è automatico.

Il dibattito è acceso, cruciale ma censurato, come la maggioranza delle voci femminili. Un giro sul web è sufficiente per vedere quante donne in rete si battono per una cultura antidiscriminatoria, nella piena consapevolezza dello stretto legame tra violenza e discriminazione.

Il dibattito sulla violenza di genere coinvolge gli uomini molto marginalmente e in via eccezionale (non è così in altri ambiti che riguardano direttamente il corpo e la vita delle donne come quello dell’aborto). La stessa comunicazione a contrasto della violenza ha sofferto per anni di questa stortura rivolgendosi alle vittime invece che agli aggressori. Termini come delitto passionale, relazioni pericolose, raptus sono pericolose giustificazioni sociali. «Chissà che ha fatto quella», o ancora «se l’è cercata essendo infedele» sono il pensiero-sentimento sotteso a queste interpretazioni. Il sentimento è un manufatto culturale, si sviluppa secondo quello che abbiamo imparato, e si impara dall’esperienza.

Continuando a promuovere una cultura sessista non si può far a meno di raccogliere questi risultati. Quando una donna viene ammazzata la violenza non è solo contro di lei, ma contro tutte e tutti coloro che la amano. Un omicidio è tale anche se riguarda una donna, è stato necessario coniare il termine femminicidio per riuscire a dare corpo agli effetti di un fenomeno discriminatorio, ovvero alle uccisioni di donne in quanto tali. «Nessuna giustificazione alla violenza» è un valore, non uno slogan da recitare ipocritamente il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Giulia Conte, Cuneo

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