Gaudium et Spes

La rilettura di un evento straordinario da parte di mons. Sebastiano Dho, Vescovo emerito di Alba

La Chiesa non è fuori del mondo. Assumere il tempo e la storia, standovi dentro con umiltà.

Può sembrare quasi inutile, ma non lo è affatto, mettere bene in chiaro innanzitutto che la Chiesa, intesa come comunità di uomini e donne credenti in Cristo risorto, non vive in un “altro mondo” distinto e diverso, ma semplicemente “in questo mondo”, l’unico esistente nel quale vivono tutti, bene o male, cristiani ed ebrei, musulmani, credenti e atei, di ogni nazionalità, pelle, stirpe, buoni e cattivi (meglio: un po’ buoni e cattivi lo siamo tutti!). Non è possibile pensare e atteggiarsi di conseguenza diversamente perché non realistico. Eppure la tentazione ricorrente, spesso non avvertita, è stata ed è ancora quella di immaginarsi, anzi, di essere convinti di vivere come comunità cristiana fuori del tempo, della storia, o meglio in un tempo e storia solo nostri.

È una illusione molto pericolosa che rischia di impedire anziché favorire quella che è la missione tipica della Chiesa, di evangelizzare tutte le nazioni. Perciò è importante e decisivo per la corretta interpretazione della Gaudium et Spes, anzi dell’intero Concilio Vaticano II, chiarire bene quale ottica hanno scelto i Padri per riflettere e trattare i problemi che toccano tutti, con l’intenzione ovvia di svolgere meglio il compito assegnato da Gesù appunto alla sua Chiesa. A questo scopo ci soffermiamo semplicemente sui primi tre numeri del testo, partendo addirittura dal sottotitolo del documento che raramente viene preso nella debita considerazione: “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” (attenzione non è scritto “Chiesa e mondo contemporaneo”, ma “Chiesa nel mondo”!).

1. Dunque la prospettiva è inequivocabile e determinante per la retta comprensione di tutto quanto verrà detto dopo, nessun passo escluso. Insistiamo su questo primo punto perché nonostante tutto, ancor oggi, serpeggia nella Chiesa, meglio in molti cristiani, l’idea che in fondo noi possiamo, forse dobbiamo, vivere “fuori” del mondo in cui vivono di fatto “gli altri”, confondendo quella che è la realtà tipica esclusiva della fede (parola di Dio, Sacramenti,momenti propri ed esclusivi dei credenti sia personali che comunitari) con le altre grandi realtà comuni a tutti gli uomini e le donne di qualsiasi condizione e professione o meno religiosa (es. la famiglia, il lavoro, tutto il contesto sociale e politico, per limitarci agli ambiti più significativi).

La Chiesa e quindi tutti noi nel mondo, inteso così, ci siamo dentro fino al collo, come tutti, e non potrebbe essere diverso; d’altronde come potremmo testimoniare la nostra fede e perciò svolgere la nostra missione se per assurdo vivessimo “fuori” del mondo comune?

2. Già abbiamo citato nella puntata precedente il bellissimo inizio della Gaudium et Spes n. 1 «Le gioie e le speranze ecc.»; ora vogliamo, sempre fedeli al testo conciliare, precisare due punti, partendo da affermazioni dei Padri rispettivamente nei nn. 2 e 3 della Gaudium et Spes: «Il mondo che la Chiesa ha presente è perciò quello degli uomini, ossia della intera famiglia umana nel contesto di quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano e reca i segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore; esso è caduto certo sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del maligno e l’ha liberato e destinato a trasformarsi e a giungere al suo compimento » (GS 2).

Dunque una visione realistica ma positiva, nella luce autentica della fede, nell’ottica dei “cieli e terra nuovi” come vedremo più avanti; un mondo quindi visto con “simpatia” da parte della Chiesa non come nemico, come una lunga tradizione (in veritàmeno antica di quanto si creda, come cercheremo di documentare) forse ci aveva abituato e che in certi ambienti ancora oggi persiste.

La grande scelta della Chiesa conciliare di fronte al mondo è quindi molto logica e consequenziale, non la contrapposizione, la lotta, la condanna del mondo, ma il dialogo. Così infatti afferma la Gaudium et Spes: «Per questo, il Concilio non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e di amore verso l’intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui problemi comuni, alla luce del Vangelo» (GS 3).

Infine ancora due importanti affermazioni circa le finalità di questo testo: «Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa», perché essa deve e vuole essere fedele al suo Signore Gesù venuto «a servire e non a essere servito ». Lo scopo vero è quello di offrire «all’umanità la cooperazione sincera, al fine di instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione» (GS 3

Crediamo fermamente che anche stando solo a queste ultime chiare parole possiamo ritenere quanto siano attuali e urgenti, proprio come testimonianza d’impegno cristiano a costruire una “fraternità universale” in un contesto ahimè crescente anche tra i cristiani di razzismo e xenofobia, con buona pace di coloro che definiscono la Gaudium et Spes “datata” cioè non più corrispondente alla vita della Chiesa di oggi. A noi pare esattamente vero il contrario, per questo continueremo ad attingere a questa grande saggezza espressa dal Vaticano II.

Mons. Sebastiano Dho (23-continua)

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