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Il direttore risponde (30 ottobre)

Premio “Terzani” e dintorni

Quest’anno il premio Terzani, istituito nell’ambito della Scuola di umanizzazione della medicina dell’Asl di Alba-Bra, è stato dedicato ai giovani. La serata del conferimento ha avuto un richiamo eccezionale, tanto che decine e decine di persone non hanno più trovato posto nel teatro Politeama di Bra. Un successo conclamato e strepitoso, reso tale dal richiamo di presenze vip, non meno che dai giovani concorrenti. Ragazzi, appunto, che ancora sanno interessarsi ai problemi e ai grandi valori umani. Sono stati in grado di dare lezione di umanità, perché essenzialmente sanno viverla, in modi e forme troppo spesso sconosciuti o ignorati dagli adulti. E lì, in quel teatro, la lezione è andata oltre la festa della premiazione. Personalmente mi ha fatto riflettere su un’enorme incongruenza della stessa Scuola di umanizzazione. L’ambito della medicina, già di per sé, dovrebbe connotarsi come altamente umano. D’altra parte chi fa il medico deve occuparsi essenzialmente delle persone, che hanno bisogno di cure. Fino a prova contraria ogni medico presta un particolare giuramento, il giuramento di Ippocrate, che lo obbliga a una deontologia e a un’etica, molto più impegnative di quelle di un qualunque mestierante. Non riesco quindi a capire l’originalità o la necessità di una nuova, dispendiosa e pletorica scuola, che rappresenta una palese contraddizione in termini. Forse serve spostare molto più a monte il problema della mancanza di umanità nella medicina. Pretendere cioè che questa enorme falla venga prevenuta e tappata nel corso della formazione dei medici e del personale sanitario. La prima grande materia che devono apprendere e applicare è proprio l’umanità. Nessuno più e meglio della Facoltà di medicina dovrebbe farsene seriamente carico. Purtroppo così non sembra, se ancora si cerca di tamponare con surrogati o palliativi.

Raimondo Testa, Bra

A che serve una scuola di umanizzazione se l’attenzione alla persona è già insita nella stessa professione medica? La domanda è logica e in effetti la necessità di una scuola di questo tipo sembra paradossale. Tuttavia bisogna fare i conti con la realtà e con le trasformazioni che sono avvenute nel tempo. Da una parte la medicina ha fatto enormi progressi, è diventata sempre più specializzata, gli sviluppi della scienza e della tecnica hanno permesso successi nelle cure un tempo impensabili. Dall’altra parte, per garantire a tutti un servizio sanitario adeguato, è cresciuta sempre più la burocratizzazione dell’assistenza, la sanità è diventata un’azienda, il malato un utente e il medico si è trovato a essere sempre più gravato da compiti gestionali. Non va neanche dimenticato il contesto in cui viviamo, che influisce su tutti, anche su medici e pazienti con la sua crisi etica e l’individualismo sempre più forte. La problematica è molto più ampia, ma questi brevi cenni fanno capire l’importanza di un continuo richiamo ai valori della professione medica, ai princìpi etici basati sulla relazione e sulla “com-passione” oltre che sulla competenza e sui ritrovati della tecnica. In questo senso una scuola di umanizzazione (benché il termine non sia molto felice) ha la sua importanza. Sappiamo anche quanto sia importante per la guarigione sentirsi accolti, ascoltati, guardati con benevolenza; e da parte del malato coltivare la virtù della speranza, partecipando attivamente alle cure, senza perdere la fiducia. Sappiamo quanto l’amore sia la più grande medicina. Per questo l’assistenza dei familiari, la presenza degli amici, il sorriso e l’incoraggiamento da parte del personale ospedaliero e di chiunque si avvicini alle persone malate non possono mancare.

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