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Romana Petri vince il “Grinzane”

Nell’atto finale del premio organizzato dalla fondazione Bottari Lattes l’autrice di “Tutta la vita” scelta dalle giurie scolastiche

La seconda edizione dell’erede del premio Grinzane si è chiusa lo scorso fine settimana, tra le Langhe e Torino. La premiazione si è tenuta sabato 13 a Torino, al teatro Carignano. Nel corso della cerimonia, condotta da Alessandra Perera, i voti degli studenti delle dieci giurie scolastiche hanno determinato in diretta il nome del vincitore della sezione Il germoglio, dedicata ai migliori libri di narrativa italiana o straniera pubblicati nell’ultimo anno. Romana Petri con Tutta la vita (Longanesi) ha conquistato 68 su 130 voti degli studenti delle giurie scolastiche ed è stata premiata dal sindaco di Torino, Piero Fassino. Gli altri finalisti al premio erano Laura Pariani con La valle delle donne lupo (Einaudi), 36 voti, e l’islandese Jón Kalman Stefánsson con Paradiso e inferno (Iperborea), 26 voti. A Petri, già vincitrice in passato del premio Grinzane, sono andati 10.000 euro, agli altri due finalisti 2.500 euro ciascuno.

Non era presente alla premiazione Patrick Modiano (Francia), vincitore per la sezione La quercia con il libro Dora Bruder, uscito per Guanda nel 2004 e ripubblicato nel 2011 dalla stessa casa editrice. Il riconoscimento è stato consegnato a Paola Avigdor della casa editrice.

La premiazione è stata preceduta, venerdì 12, da un doppio appuntamento a Monforte, sede della fondazione Bottari Lattes e dell’associazione organizzatrice del premio. Nell’auditorium i tre finalisti hanno incontrato i ragazzi, mentre il pomeriggio è stato dedicato a una delegazione di studenti per un laboratorio di scrittura. L’incontro, moderato da Valter Boggione, professore dell’Università di Torino emembro della giuria tecnica del premio, è stato occasione per gli scrittori di raccontare se stessi e le proprie opere, rispondendo alle domande e alle curiosità dei ragazzi.

I finalisti, pur essendo molto diversi per stile e contenuti, sono accomunati dalla stessa tematica: la sofferenza del vivere. Simile è anche l’atteggiamento nei confronti di questo “male”, nato dalla perdita di quel paradiso che Stefánsson cita esplicitamente, ma la cui ricerca e assenza pervade anche i romanzi delle altre due autrici. I personaggi si confrontano con le difficoltà e gli ostacoli della vita non con rassegnazione, ma con volontà di ricominciare. «Sono tutti ossessionati dalla morte, ma allo stesso tempo percorsi dalla voglia di vivere», commenta Boggione, aggiungendo un secondo tratto comune: «Pervade le tre opere il tema dell’impossibilità di essere liberi, sebbene per motivi diversi. I protagonisti ne sono consapevoli, eppure non possono fare a meno di continuare a cercare quella libertà negata ». Le somiglianze non finiscono qui: «Sono tre libri solo apparentemente giocati su singoli personaggi: anche se i protagonisti presentano personalità spiccate, essi trovano infatti un senso solo nel momento in cui si collocano all’interno della comunità».

Al centro della narrazione non c’è il presente. Eppure, nonostante si parli di epoche passate, il ricordo del passato diventa un utile stimolo alla riflessione sul presente: «Quando scriviamo, non importa il dove e il quando, in ogni caso è protagonista l’animo umano, che non è mutato. Nel corso dei secoli abbiamo fatto grandi progressi in campo tecnologico, ma l’uomo è sempre lo stesso, fragile di fronte alla potenza della natura. Non siamo diventati migliori, solo più pericolosi» spiega Stefánsson. Il tema del passato da ricordare è caro a ogni scrittore. Romana Petri: «C’è da domandarsi se la storia non ci sappia insegnare nulla o se piuttosto siamo noi che non capiamo o non sappiamo interpretarla. Per questo è importante continuare a ricordare».

Elisa Pira

La “supervincitrice”: «I giovani sono saggi, capiscono dove risiede l’autenticità»

Romana Petri, il suo romanzo è accomunato alle altre opere finaliste dalla sofferenza del vivere. Qual è la funzione della letteratura di fronte a questo male?

«Le persone felici non hanno bisogno di scrivere, i bei momenti della vita vanno solo vissuti. È il dolore che ispira, è la sofferenza a essere cantata dai poeti».

Ha detto che la protagonista del suo libro vive «con il passato di fronte e il futuro alle spalle». Lei condivide questo atteggiamento? Non ritiene sia di impedimento alla costruzione attiva del futuro alla quale ciascuno di noi dovrebbe adoperarsi?

«Avere il passato di fronte significa avere chiaro con cosa ci siamo formati e confrontarci quotidianamente con esso per valutarlo ed eventualmente rivalutarlo, dal momento che è l’unico tempo di nostra proprietà, la nostra sola certezza. A differenza del futuro, non ci fa paura. Personalmente condivido questo atteggiamento, anche se bisogna stare attenti a non correre il rischio (come succede ad Alcina, la protagonista del mio romanzo) di essere ossessionati dal passato. Lei rimastica continuamente il suo passato felice, il paradiso perduto al quale cerca di rimanere ancorata per difendersi dalla tragicità di un futuro che incombe come una minaccia».

Nel 2001 ha conseguito il premio Grinzane con La donna delle Azzorre. Oggi, a distanza di undici anni, è tra i finalisti dell’erede di quel premio. L’emozione è la stessa?

«Ricevere un premio rende sempre felici. Il fatto che, come in questo caso, la giuria sia composta da ragazzi, ne fa un evento ancora più lieto. I giovani sono più saggi di quanto si pensi e capiscono dove risiede l’autenticità, scelgono ciò in cui credono davvero».

e.p.

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