Il direttore risponde (13 novembre)

Gli educatori di ragazzi difficili, figure dimenticate ma importanti

Gentile Direttore, sono alcuni mesi che le volevo scrivere per denunciare una situazione che mi assilla molto e che vorrei esporre. Ho un figlio, sposato con moglie e due bambini piccoli, che da venti anni lavora come educatore presso una cooperativa del cuneese. Nel mese di luglio scorso mi telefona per comunicarmi il ritardato versamento dello stipendio da parte della sua cooperativa in quanto a sua volta non aveva ricevuto dagli enti preposti regionali le somme dovute. Era molto turbato e preoccupato perché quello stipendio (circa 1.100 euro al mese) è l’unico sostentamento della famiglia. Nel dirmi questa notizia mi descrive il lavoro che svolge insieme ad altri educatori nella cooperativa. Gli enti preposti gli affidano ragazzi o adolescenti recuperati dalla strada o da famiglie disastrate con situazioni di genitori in prigione o addirittura ragazzi che subiscono violenza nella stessa famiglia. Il compito gravoso che questi educatori affrontano è innanzitutto quello dell’accoglienza, farli sentire accolti in una comunità che si dedica a loro, e con pazienza e amorevolezza ridare loro dignità e fiducia nel futuro. Mi elenca anche alcune cifre sui costi economici che questo lavoro comporta. Un ragazzo affidato a una struttura educativa come la loro costa tra i 110 e 120 euro al giorno, lo stesso ragazzo in un riformatorio o in una struttura carceraria costa allo Stato tre volte di più, quindi un risparmio non indifferente per il contribuente. Mi sottolinea che il loro lavoro non si vede, non viene recepito dalla società, non fa notizia. Invece per loro è motivo di grande soddisfazione quando questi ragazzi acquistano fiducia, dignità e consapevolezza del bene ricevuto. Dopo venti giorni mi telefona e mi dice che il versamento dello stipendio è stato fatto: questa situazione ha creato purtroppo insicurezza e ansia per il futuro. Avendo ricevuto questo sfogo amaro da parte di mio figlio mi sono detto: cosa posso fare per lui e per questa categoria così bistrattata, piena di incognite per il futuro, ma soprattutto per tutti quei ragazzi che rischiano di non avere più un supporto importante per la loro crescita e il loro recupero sociale? Mentre questo pensiero mi assillava i giornali e i mass media denunciavano ruberie e malversazioni di denaro pubblico nel Lazio, in Lombardia e anche in Piemonte, notizie di consiglieri regionali i quali percepiscono stipendi mensili da favola che, paragonati allo stipendio di un educatore, sono dodici volte tanto. Allora mi domando perché ci sono queste disuguaglianze così enormi fra chi amministra la cosa pubblica e molte categorie sociali che a malapena riescono ad arrivare alla fine del mese. Ponendomi queste domande e facendo le considerazioni sopra citate mi sono detto: forse per aiutare mio figlio e la categoria che rappresenta è bene scrivere questa lettera a un settimanale sensibile a queste tematiche e fare un appello alla classe politica e alle varie istituzioni e fondazioni bancarie affinché siano sensibili al mondo del disagio che questi educatori con mille problemi sia burocratici che legislativi affrontano personalmente giorno dopo giorno. Mi auguro che per il sociale non vengano tagliati quei fondi indispensabili per garantire un servizio adeguato agli utenti e una serenità fondamentale per chi vi opera e lavora.

Lettera firmata

Più volte abbiamo affrontato su Gazzetta il problema dei tagli alla socioassistenza. Questa lettera offre la possibilità di tornare sull’argomento attraverso il racconto di un’esperienza di prima mano. Dalla quale si deduce che non si tratta soltanto di cifre e di bilanci da far quadrare, ma della vita di persone in difficoltà, della possibilità per loro di un’esistenza dignitosa. Si comprende inoltre come questi tagli non apportino un vero beneficio per lo Stato nemmeno a livello di bilancio. Non c’è lungimiranza in queste scelte, non c’è una riflessione a lungo termine, ma una visione basata sull’effetto immediato senza valutarne le conseguenze future. Spesso poi il peso determinato da questo tipo di tagli ricade sulle spalle delle famiglie, che rischiano di non reggere più. Come sottolinea l’autore della lettera, queste decisioni stonano ancora di più in un contesto nel quale politici e amministratori (con le dovute eccezioni) non hanno dato alcun segnale di partecipazione alle difficoltà delle famiglie e del Paese in genere. Hanno ridotto entrate e gettoni di presenza solo quando vi sono stati costretti. Ma sono ancora tanti i privilegi, i vitalizi e gli sprechi. Non dobbiamo infine dimenticare che il sostegno a chi è più debole, a chi è in difficoltà, è uno dei segni più autentici di civiltà e di progresso. Come ha scritto qualche settimana fa l’economista Luigino Bruni su Avvenire, «quando lo Stato italiano non c’era ancora o le sue istituzioni erano inesistenti o troppo fragili, Cottolengo, don Bosco, don Orione, Scalabrini, Francesca Cabrini hanno curato e amato le tante forme di povertà e di esclusione del loro tempo, rendendo la società italiana più civile e la vita di tanti, poveri e meno poveri, possibile».

Banner Gazzetta d'Alba