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La “Vox creola” di Luca Morino, il cantante dei Mau Mau

MUSICA Engagement significa impegno, ma nell’universo artistico è sinonimo di presa di coscienza sociale. Il francesismo si abbina in modo perfetto a Luca Morino, cantante torinese in attività da circa vent’anni, celebre per essere la voce e la chitarra dei Mau- Mau. L’artista ha pubblicato, il 25 settembre, l’album Vox Creola, firmato MorinoMigrante, il suo progetto solista. I temi nelle dodici canzoni del disco trattano temi delicati: il disagio sociale è il fil rouge che collega i brani. Lo stile subisce continue contaminazioni: dal folk-rock, al blues, sino a raggiungere sfumature dubstep.

Luca Morino, che cosa significa per te cantare?

«Cantare è innanzitutto un mezzo per comunicare. La musica richiede un grande dispendio di energie, ma allo stesso tempo è un modo per nutrirsi: il sentimento che si ottiene con e dalla melodia è di grandezza direttamente proporzionale alla fatica effettuata. Occorre affrontare in modo serio l’universo musicale e ricordarsi che senza emozioni e senza forza di volontà nessuno potrebbe diventare musicista».

Come ti poni rispetto alla progressiva commercializzazione della produzione musicale?

«Il bagaglio culturale trasportato dalla musica negli anni Duemila è senza dubbio più leggero rispetto a qualche decennio fa. A testimoniarlo vi è il disinteressamento dell’ascoltatore: al giorno d’oggi è difficile incontrare qualcuno che conosca titolo e testo della canzone che sta canticchiando; la biografia dell’artista riceve lo stesso trattamento. Personalmente non giudico in modo positivo questo tipo di approccio superficiale alle canzoni. E le leggi del mercato non considerano l’aspetto contenutistico del prodotto musicale, penalizzando il lavoro dell’autore».

Parliamo del tuo ultimo disco, Vox creola, cioè “Voce nuova”. Chi identificheresti come tuoi artisti faro?

«In questo periodo mi sto avvicinando al mondo del jazz e della musica classica. Se qualche anno addietro il mio approccio all’ascolto poteva definirsi casuale, ora ho adottato un metodo sistematico. Ho ripercorso i vari passaggi di entrambi i generi nella storia. Ho anche preso spunto da due grandi italiani: Ennio Morricone, che ammiro per la sua capacità di arrivare a qualsiasi tipo di pubblico; e Adriano Celentano, artista capace di equilibrare in maniera magistrale il banale e il profondo».

C’è anche la Valle Bormida nel disco…

«Sì, la prima canzone è titolata Santa Maria del deserto. Attraversavo le zone di Millesimo e Bossolasco, e ho ammirato il santuario di Nostra Signora del Deserto. La costruzione ha stimolato in me una riflessione a proposito dell’uomo del terzo millennio (cioè il concetto attorno al quale si sviluppa la canzone): non sapendo più a chi rivolgersi le persone pregano i santi nello stesso modo in cui si rivolgono ai gratta e vinci, cioè ai numeri. Tale atteggiamento è sintomo di un disagio sociale fortissimo: è il concetto dei soldi come santi di riserva».

Marco Viberti

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