No al Museo del tartufo a Montà

IL CASO «Ci pare una pazzia, in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, spendere tre milioni emezzo in un museo virtuale del tartufo. Le casse pubbliche sono all’asciutto, non ci sono denari, la sanità langue». Inizia senza mezze misure la dichiarazione di Bruno Murialdo, il noto fotografo albese. Ma la pensano come lui Guido Harari, Giuseppe Blengini, Valerio Pieroni, Giuseppe Lorenzin e Paolo Tibaldi, i quali hanno firmato una lettera aperta affidata a Gazzetta.

Molti, dopo la presentazione del progetto al Sociale, convengono con Murialdo. Ancora il fotografo: «I turisti amano il paesaggio, le passeggiate, le cantine; sono interessati a cose vere: la virtualità nella realtà è un delirio. Dobbiamo investire piuttosto sulla cultura, sui giovani, aiutare le persone non autosufficienti: ci sono già troppe cattedrali abbandonate o musei che costano più di quello che rendono. Impariamo finalmente la grande lezione di Giacomo Morra».

In effetti, commenta Clara Masera, nipote di Giacomo Morra: «Si parla di un investimento ingente e non credo sia il momento giusto, mentre vengono fatti tagli perfino sulla salute. Inoltre, sono perplessa sulla localizzazione. Così anche Roberta Ceretto: «Il WiMu (Museo del vino di Barolo) potrebbe essere il luogo in cui tartufo e vino si incontrano. Credo inoltre che la caratteristica vincente del territorio sia la concretezza e non convince l’idea di puntare sulla virtualità». «Abbiamo un enorme potenziale reale e non lo sfruttiamo abbastanza», rincara Elio Sabena, dell’associazione Trekking in Langa. E anche Donato Bosca, fondatore dell’associazione culturale Arvangia, si dice «a favore della cultura diffusa, ai finanziamenti a microprogetti che tengono in vita il territorio ». Infine, Oscar Farinetti, patron di Eataly: «Se penso a un museo del tartufo mi viene in mente Alba, da dove si può creare interesse verso i paesi, magari stimolare i turisti a scoprire anche Montà. La scelta inversa mi sembra più difficoltosa. Ci è riuscito il WiMu, che so essere in pareggio di bilancio rispetto all’investimento iniziale, perché Barolo ha un flusso turistico radicato. Per Montà – dove so che sono già stati fatti investimenti – temo i costi che servirebbero per mantenere l’attività museale».

Più moderato il parere di Giacomo Oddero, presidente del Centro studi sul tartufo: «Montà è un paese decentrato, ma ricco di grandi eccellenze e con un castello interessante, che avrebbe potuto ospitare il museo. Si dovrebbe valutare al meglio ogni costo, ma al tempo stesso non affossare l’idea a priori».

Elisa Giordano

Valsania: «Non costruiremo una cattedrale nel deserto»

Alle polemiche risponde il sindaco di Montà Silvano Valsania, presidente della Fondazione per il Museo del tartufo. «Sono dispiaciuto per i dubbi sulla scelta del luogo: non siamo capaci di fare sistema. Il Roero è fondamentale per i tartufi, il suo patrimonio boschivo ne è l’esempio concreto, tanto che esisteva negli anni ’70 una postazione scientifica del Centro nazionale ricerche. Molti tartufi presenti ad Alba provengono da qui; a Portobello, da Enzo Tortora andò un trifolao di Montà e il nostro Stelvio Casetta ha condotto una ricerca simulata a Central park, portando il tartufo aNew York. Il museo non sarà una cattedrale nel deserto. Chi conosce il mondo dei tartufi lo può riconoscere con onestà intellettuale». Valsania riprende il tema dei costi: «Capisco che il momento che stiamo vivendo possa creare preoccupazione su ogni investimento, ma beneficeremo di fondi che non saranno sottratti ad altri ambiti: sono fondi europei per la promozione del turismo. Un investimento per una realtà nuova, duratura e significativa».

e.g.

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