Te la spiego io la scuola

Anche gli insegnanti albesi sono sul piede di guerra. Riuniti in assemblea hanno deciso le azioni di protesta dei prossimi mesi: no alle attività extracurriculari, rifiuto di collaborare ai test Invalsi, utilizzo dei colloqui con i genitori come momento d’informazione.

PROTESTA Anche la scuola albese è in agitazione per la proposta – per ora ritirata – di aumentare il numero di ore lavorative dei docenti, da 18 a 24. L’idea del ministro Francesco Profumo ha scatenato preoccupazioni, che si sono tradotte pure ad Alba in assemblee per fare il punto sullo stato di un’istruzione pubblica caratterizzata da tagli, incertezza sui fondi a disposizione e precarietà diffusa. Il corpo docenti e il personale Ata (tecnici, bidelli) di numerosi istituti scolastici – liceo Govone, linguistico Da Vinci, scientifico Cocito, secondo Circolo didattico, Arte bianca di Neive, Vallauri di Fossano – hanno definito collettivamente, nei giorni scorsi, la linea di protesta da seguire per rapportarsi con il Ministero e informare l’opinione pubblica.

«Ci preme chiarire», spiega un professore, «che l’insegnante non lavora 18 ore a settimana, ma fa lezione per 18 ore a settimana. Solo una cecità fraudolenta non riesce a scorgere dietro queste ore un lavoro intellettuale inestimabile e non quantificabile».

«Far capire alle persone che cosa significhi fare il docente è complesso», racconta un docente di sostegno, perché la nostra dignità è continuamente lesa dalle istituzioni. È in atto una guerra tra precari del Nord contro quelli del Sud, accusati di sottrarre il lavoro. La colpa non è nostra ma dello Stato, che non ci dà la possibilità di rimanere in Meridione. Io, per esempio, vivo separato da mia moglie e dai miei figli. I rapporti cambiano. E ciò non capita solo a me: vedo continuamente colleghi che si separano».

Sparisce – come fa notare un docente del secondo Circolo – la figura specialistica dell’insegnante d’inglese e vengono ridotti gli insegnanti di sostegno. Nei licei, inoltre, gli insegnanti hanno classi da 30 alunni, magari con tre o quattro ragazzi con handicap o dislessici: «Che tipo di insegnamento posso applicare davanti a difficoltà del genere?», si chiede un docente.

 

La protesta, che differisce a seconda dell’istituto, significherà congelamento delle attività extracurriculari, rifiuto di collaborare ai test Invalsi, utilizzo dei colloqui con i genitori come momento d’informazione, blocco dei viaggi di istruzione e delle nuove adozioni dei libri di testo, eventuali ricorsi e possibili blocchi degli scrutini.

Maurizio Bongioanni

LA STORIA – Precari a vita con i libri in mano

M., professore di italiano di un liceo albese, racconta: «Fare il precario significa essere assunti a settembre e licenziati a giugno, quando va bene, vivere con la paura di non essere “richiamati”, magari dopo sette anni di insegnamento. Significa non avere ferie. Significa che gli scatti d’anzianità sonomessi continuamente in discussione. Inoltre, se sei insegnante di ruolo sei un precario di seria A; poi ci sono quelli di serie B, quelli che aspettano di insegnare “a spezzoni”, qualche ora ogni tanto, per maturare punti in graduatoria per poi essere chiamati a sostenere un nuovo concorso insieme ad altri 260 mila nuovi aspiranti. Il precariato costa di più rispetto a un posto fisso, ma si preferisce che una classe cambi otto docenti in tre anni. Essere precari vuol dire che ti è difficile trasmettere passione per la materia insegnata. Il risultato? Gli studenti sono demotivati, magari promossi con gravi lacune e carenti di spirito critico».

ma.bo.

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