VIVERE con 500 euro al mese?

L’INTERVISTA Il 7 dicembre le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato un presidio davanti alla Prefettura di Cuneoper gridare l’indignazione per la propria condizione. Unadelegazione si è mossa anche per raggiungere il municipio albese. Al sindaco Maurizio Marello è stata consegnata una lettera con la quale si evidenziano i disagi degli anziani. Ne parliamo con Francesco Versio, segretario dei pensionati Cisl di Alba. Le rette nelle case di di riposo per non autosufficienti arrivano fino a tremila euro mensili e la lista di attesa di chi avrebbe diritto alle convenzioni regionali ma rimane a bocca asciutta sfiora, solo in ambito albese, le trecento persone.

Partiamo dai numeri, Versio. È vero che anche nella nostra provincia i pensionati faticano ad arrivare a fine mese?

«I numeri sono a dir poco allarmanti. Le pensioni da 0 a 1.000 euro sono il 74 per cento del totale. Significa che tre su quattro percepiscono somme del tutto insufficienti ad affrontare le vicissitudini esistenziali. Ma non finisce qui: di queste pensioni, il 48 per cento è sotto la cifra dei 500 euro. E, aspetto fondamentale, il 60 per cento di quest’ultimo 48 per cento è costituito da donne sole. Per il resto, abbiamo pensioni che vanno dai 1.000 ai 2.000 euro (il 20,7 per cento del totale), e da 2.000 euro in su (il 5 per cento, ovvero un anziano su venti)».

Secondo la sua esperienza, quali sono i risvolti di questa situazione di indigenza?

«L’insicurezza, la paura della malattia, la paura della solitudine e un senso di precarietà, specialmente in quegli anziani che vivono in affitto. Se poi si prosegue la strada di questi giorni – in cui si mette in discussione la sanità pubblica – allora la rabbia e la frustrazione rischiano di prendere il sopravvento. Non dimentichiamo che sovente le pensioni dei nonni servono come ammortizzatore sociale per i nipoti».

Un vero disastro. Che cosa farebbe, se fosse il presidente del Consiglio Mario Monti?

«Credo sia necessaria una presa di coscienza politica, che vada oltre il mero – seppure necessario – esercizio dei numeri, operazione prediletta dal Governo Monti. La classe politica deve mettere in atto interventi concreti e urgenti in favore dei pensionati attraverso il sostegno dei redditi, una nuova politica fiscale, il rilancio del welfare e una legge nazionale per la non autosufficienza ».

Matteo Viberti

LA STORIA Rosa: «Dieci euro cambiano la vita»

Rosa ha una voce rabbiosa. «La rabbia», dice, «è la mia compagna. È l’ingrediente che mi tiene su nella vita. Percepisco una pensione di 500 euro al mese, mio marito di 800. Non abbiamo una casa di proprietà, un orto o un terreno. Contiamo solo su noi stessi e la nostra vita è un continuo risparmio. Non compriamo scarpe quando ne abbiamo bisogno; per l’abbigliamento preferiamo la bancarella dei marocchini; al supermercato scegliamo i prodotti senza marca». Rosa spiega che da almeno dieci anni si reca nei mercatini dell’usato: «Quando non erano ancora di moda e nessuno li conosceva, per noi erano già un punto di riferimento». Le chiediamo: come fate per le spese impreviste? «Usiamo la liquidazione di mio marito. Ne rosicchiamo un po’ per volta: dentista, guasto alla macchina, eccetera. A volte mi viene voglia di spaccare tutto». Per sei anni Rosa ha fatto la volontaria, credendo in un ideale più grande. Poi, le “riforme”, gli eventi economici e il precipitare della situazione sociale hanno creato disperazione. «La riforma delle pensioni ci ha tolto dieci euro al mese dalla busta paga. Dieci euro non sono mica una bazzecola! Sono centoventi euro all’anno», dice Rosa. E quando dieci euro diventano oggetto di preoccupazione, qualcosa di profondo si è incrinato nel concetto stesso di vita. «L’unica valvola di sfogo è il sindacato, dove incontro persone impantanate nella stessa palude». Ai problemi economici si aggiungono altri aspetti, falle gravissime del sistema sociale: «Oggi, ad esempio, mio marito si è sentito male. Era mattina e siamo andati in ospedale. Prima di riuscire a ottenere un letto abbiamo dovuto aspettare fino alle cinque di sera». Sul futuro, l’incertezza domina. «Sono arrabbiata con i politici, ma non per “moda”. Non penso che tutto il male derivi dalla “casta”. Una volta, nel cortile del condominio si conoscevano tutti e ci si aiutava. Ora nessuno conosce il proprio vicino». Il tempo dell’anonimia, dell’estraneità reciproca è causa e conseguenza della povertà. Di volti come quello di Rosa il cuneese è pieno (vedi pure l’altra intervista di questa pagina). Tramutare la rabbia in istinto creativo sarà la sfida che si deve porre una collettività smarrita.

m.v.

Se gli anziani imbracciano le armi

PENSIONATI Affinano gli armamenti, preparano le catapulte e issano le barricate i pensionati cuneesi. Scelgono la strategia offensiva, perché la lamentela o le rivendicazioni passive non hanno sortito, fino a ora, i frutti sperati. Perciò il 7 dicembre le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato un presidio davanti alla Prefettura di Cuneo per gridare l’indignazione e lo sconforto legati alla propria condizione. Una delegazione si è mossa anche per raggiungere il municipio albese.
Al sindaco Maurizio Marello è stata consegnata una lettera con la quale si evidenziano i disagi degli anziani ospiti delle case di riposo sia rispetto ai costi che alla quantità e qualità dei servizi erogati. Le rette nelle case di di riposto per non autosufficienti arrivano fino a tremila euro mensili e la lista di attesa di chi avrebbe diritto alle convenzioni regionali ma rimane a bocca asciutta sfiora, solo in ambito albese, le trecento persone. Infine, gli anziani hanno inviato un documento al Governo in cui chiedono – nell’ottica della riduzione del carico fiscale – la parificazione della fascia esente prevista per i pensionati (reddito pari a 7.500 euro) a quella dei lavoratori dipendenti (reddito pari a 8.000 euro).
L’iniziativa s’inserisce in un preciso scenario politico e sociale, che fa riferimento alle decisioni del ministro del lavoro Elsa Fornero nel suo primo anno di mandato governativo. La riforma delle pensioni ha esteso il metodo contributivo – quello che stabilisce l’ammontare della pensione in base ai contributi versati – a tutti i lavoratori (ma sarà applicato a partire dai trattamenti maturati dal primo gennaio 2012). La riforma ha poi innalzato, a partire da quest’anno, l’età minima di pensionamento nel settore pubblico a 66 anni, e a 62 anni – che arriveranno a 66 nel 2018 – per le lavoratrici del settore privato.
Infine il decreto ha sospeso per due anni l’aggiustamento all’inflazione delle pensioni superiori a 1.400 euro al mese. Insomma, le decisioni politiche hanno peggiorato le condizioni degli anziani, dicono i loro portavoce. Il concetto di vecchiaia si raggrinzisce, smarrisce ogni connotazione positiva. La terza età viene a coincidere con le categorie della difficoltà, della marginalità e del rischio. L’effetto a lungo termine è devastante: i giovani sono costretti a guardare con timore al futuro, a presentire l’avvicinarsi dell’orlo di un burrone e di una inevitabile caduta. Il risultato è un presente fatto di sacrifico della progettualità e rabbia distruttiva (vedi anche storia a lato).
 Matteo Viberti

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