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186 ogni giorno al pronto soccorso

Incidente tra moto e auto, muore un artigiano di Cherasco
Immagine d'archivio.

SALUTE Il pronto soccorso è una realtà legata al 118. Il primo è una stanza fisica, il secondo un numero telefonico che “facilita” l’accesso alle cure urgenti tramite un complesso sistema di smistamento delle chiamate e invio di ambulanze.Enzo Aluffi, direttore del reparto di medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza dell’Asl Cn2 Alba-Bra (quello che viene chiamato comunemente il pronto soccorso), ci spiega ciò che accade ogni giorno dietro le quinte. I dati appena “sfornati” raccontano una realtà data per scontata perché operante in una zona “scomoda”, quella dell’integrità fisica degli individui.

Quante persone accedono in un anno al pronto soccorso dell’Asl, Aluffi?

«Nel 2012 abbiamo registrato 68 mila passaggi tra Alba e Bra, circa 186 al giorno. Precisamente, si tratta di 46 mila accessi ad Alba e 21.800 a Bra. Il numero si è leggermente ridotto rispetto al 2011, dopo una serie di annualità in cui gli utenti risultavano in progressivo incremento. Il numero di accessi al pronto soccorso corrisponde al 40 per cento della popolazione residente».

Significa che, virtualmente, quasi una persona su due si è trovata a fronteggiare un’emergenza fisica che considera grave.

«Il numero di accessi varia di anno in anno a causa di molteplici fattori, tra cui il generale peggioramento degli stili di vita, la maggiore o minore capacità ricettiva del servizio, la casualità, eccetera. Nel complesso, nel 2012 abbiamo registrato circa mille accessi in meno a Bra e 1.500 accessi in meno nell’albese. Per quanto riguarda le categorie patologiche, tanto per citare, lo scorso anno il 28 per cento degli accessi ha coinvolto problematiche traumatologiche, il 6 per cento dolori addominali, un altro 6 per cento malattie cardiache, il 7 per cento dispnea e dolori al torace».

Quante persone sono necessarie a gestire una tale quantità di richieste?

«Nel pronto soccorso albese si effettuano tre turni lavorativi, in modo da garantire la copertura del servizio 24 ore su 24. Al mattino (periodo di intensa affluenza) sono operativi 3 medici e 4 infermieri, al pomeriggio 2 medici e 3 infermieri, alla sera 2 medici e 2 infermieri».

Uno dei maggiori problemi del pronto soccorso riguarda gli accessi impropri. Ci sono persone che “amano” troppo l’ospedale?

Non valuterei come “problematico” il tema degli accessi impropri. Le persone che si recano in pronto soccorso reputano sempre “grave” il proprio male. Verificare che questa percezione corrisponda a realtà è compito di chi, all’ingresso in ospedale, valuta l’effettiva criticità del malore. Per questo si assegna il codice bianco per i pazienti meno problematici, i codici verde e giallo per gli intermedi, il codice rosso per i malati gravi. In questo modo, riusciamo a garantire la giusta priorità».

Matteo Viberti

IL PUNTO Il 118 numero dopo numero

Il 118 è una realtà che pochi raccontano, teatro di quotidiana sofferenza, di storie, gesti salvifici, errori e tentativi. Quando una persona chiama il 118 la telefonata è raccolta dalla centrale operativa di Saluzzo, che valuta la richiesta e invia un’ambulanza in base ai criteri di idoneità, vicinanza e disponibilità dei mezzi. In provincia esistono 14 ambulanze medicalizzate (con medici e infermieri a bordo) e 3 ambulanze con infermieri. Questi i mezzi in “pianta stabile”, a cui bisogna aggiungere le 50 sedi delle associazioni di volontariato convenzionate con il servizio di emergenza. Ciascuna di queste sedi, ci spiega Mario Raviolo, responsabile della centrale operativa di Cuneo, «ha a disposizione tre, quattro o cinque ambulanze. Il 118 stipula una convenzione con queste associazioni e rimborsa il costo dell’invio del mezzo secondo parametri variabili». Nel complesso, a livello regionale, l’intero servizio di emergenza costa alle casse pubbliche circa 110 milioni di euro. Nel 2011 solo ad Alba (ospedale San Lazzaro) le ambulanze hanno trasportato 2.986 codici verdi (i pazientimeno critici), 2.054 codici gialli (criticità intermedia) e 662 codici rossi (criticità elevata), quasi sedici pazienti al giorno. In totale, le persone trasportate in ambulanza nell’albese rappresentano l’8,8 per cento dei pazienti ospedalizzati. Sul fronte della criticità, Raviolo racconta che «il 118 si trova a fronteggiare il massiccio incremento delle chiamate provenienti dalle case di riposo, che rischia di “intralciare” la funzionalità della macchina». Un altro problema riguarda, nei mesi estivi, l’incremento degli incidenti motociclistici, dieci volte superiori rispetto alle statistiche invernali. Senza contare la possibilità del taglio delle risorse, vero spauracchio per un servizio che determina, giorno dopo giorno, migliaia di destini.

m.v.

La fabbrica delle ambulanze in crisi

C’è un braccio della società che funziona secondo regole diverse rispetto al resto. È un ingranaggio che dev’essere svelto, infallibile, sempre alle prese con battaglie vitali, una zona liminare, oscillante tra rischio e salvezza, a cui non è concesso indugio. Lo definiscono con tre cifre: 118. Si tratta in verità di una gigantesca macchina amministrativa, operativa e umana che ogni giorno combatte una guerra.

Nel 2011 in provincia di Cuneo il servizio ha ricevuto 64.230 chiamate, con oltre 50 mila prestazioni erogate e 48 mila ambulanze inviate: circa 130 al giorno. Cifre a cui aggiungere i 15.964 consulti avvenuti per via telefonica. Una “fabbrica” mastodontica, dai tentacoli articolati e dal cui funzionamento dipendono migliaia di destini (vedi anche gli articoli di questa pagina). Oggi il 118, nella sua forma tradizionale, è messo in discussione: manca liquidità, i tagli potrebbero “ferire” il servizio. Come ha spiegato il consigliere regionale del Partito democratico Mino Taricco, l’intenzione della Giunta regionale – formalizzata in una deliberazione – sarebbe di ridurre in Piemonte le centrali operative da 8 a 4, con il mantenimento di 6 strutture complesse (una di maxiemergenza e una di elisoccorso).

Il piano potrebbe condurre, in via ipotetica, alla centralizzazione del servizio di emergenza, ovvero a un’unica grande azienda che riceve i finanziamenti e li smista verso i diversi “sottobracci”. La sede sarebbe il Cto di Torino. Infine, la riforma prevedrebbe un taglio delle ambulanze a favore delle cosiddette auto medicalizzate, mezzi meno costosi, ma sprovvisti delle strutture per fronteggiare emergenze gravi. È ancora presto per i dettagli, ma i sindacati sono insorti. Come ha affermato il segretario Fimmg (principale organizzazione in difesa dei camici bianchi) Roberto Venesia, «il modello aziendalistico che ci ritroviamo è stato bocciato più volte sia dalle parti sociali che dalla politica.

Siamo di fronte a una riforma accentratrice che crea un’azienda mascherata, mantiene i posti di potere presenti nelle centrali operative pur diminuendone il numero, creando primariati fantasiosi con una pletora di amministrativi e tecnici». La replica della Regione non si fa attendere: «L’obiettivo dell’Assessorato alla sanità non è mai stato quello di portare risparmi dal 118. Le scelte adottate, in linea con quanto espresso dal Piano socio- sanitario, prevedono che il 118 non riduca complessivamente le risorse utilizzate, ma che le aumenti», spiegano da palazzo Lascaris. Il timore è che anche l’odierna prontezza nel gestire l’emergenza possa rallentare e incepparsi nel vento disgregante della recessione.

m.v.

LA STORIA Sull’ambulanza, a duello per la vita

«Chi opera sulle ambulanze riesce a fatica a lavorare in una corsia d’ospedale». La perenne adrenalina, camminare sulla sottile linea divisoria tra esistenza e non esistenza. L’esperienza al limite. Alessandro Galluzzo è infermiere coordinatore del 118 albese e racconta così i suoi dieci anni sulle ambulanze. «All’inizio non hai difese, sei esposto al rischio di traumi psicologici. Ognuno ha il suo tallone d’Achille, il proprio punto debole», racconta Galluzzo. «Ad esempio, assistere al decesso di un bambino, oppure agli incidenti stradali di diciottenni o ventenni. Se non sei preparato, l’impatto emotivo è destabilizzante. Più volte ci siamo ritrovati a casa dei familiari di un paziente appena morto: in questi casi occorre assolvere a funzioni non solo sanitarie ma anche di sostegno emotivo, la situazione non è semplice. Si assorbono inimmaginabili quote di dolore. Il trauma psichico non lo avverti subito, ma nei giorni successivi». Per dieci anni, dal 1991 al 2001, l’infermiere Alessandro Galluzzo ha lavorato sulle ambulanze.

Con l’esperienza, racconta, «ognuno trova il modo di reagire, allestisce gli anticorpi necessari a limitare l’eccessivo coinvolgimento emotivo». Ma giocare sempre sul filo del rasoio è cosa da gente forte: ci si immerge in un’esistenza estranea all’ordinario scorrere degli eventi. L’ambulanza è una specie di surrealistico spazio mobile, in cui si duella con il destino a colpi di apparecchi elettronici, scelte irrevocabili, concentrazione. «La quantità di energia richiesta è enorme», prosegue Galluzzo. «Ed è fondamentale lavorare in équipe. L’esito dell’intervento dipende dalla collettività, dall’armonia di squadra, dalla sincronia e dall’intesa dei gesti». Eppure, non sono solo le tragedie a connotare le giornate di chi lavora nell’emergenza. Ci sono anche i miracoli, gli impensabili recuperi, le vittorie sulle vite strappate all’ultimo. L’infermiere: «Sovente i familiari di chi subisce un infarto attendono inerti, perché sono impreparati, l’arrivo dell’ambulanza, riducendo le probabilità di salvezza. È una conquista invertire la sorte di queste persone».

Galluzzo ora opera in ospedale. Ogni tanto però ama tornare sull’ambulanza. Per non scordare, per non smettere di combattere e far vincere la vita.

m.v.

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