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Gaudium et Spes (28)

LA RILETTURA DI UN EVENTO STRAORDINARIO DA PARTE DI MONS. SEBASTIANO DHO, VESCOVO EMERITO DI ALBA

Icorretti rapporti tracomunità politica e la Chiesa.

Questo tema è particolarmente delicato e insieme urgente e strettamente necessario, poiché al riguardo, specialmente in Italia, è materia di gravi equivoci, in buona o cattiva fede, fonte di incomprensioni e di conflitti, non solo a livello civile, ma ahimè!, anche ecclesiale. Eppure il Concilio, come sempre, è di una chiarezza cristallina e soprattutto molto positivo e sereno nelle sue direttive precise per tutti.

Le affermazioni di fondo sono tre, tutte importanti: «La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità civile e non è legata a nessun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana» (GS n. 76). Di conseguenza, «la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome, l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a livello diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini » (GS n. 76).

Dunque nessuna confusione (“Regni o Stati cattolici o cristianissimi”), ma distinzione e collaborazione con al centro non lo Stato o la Chiesa, ma la persona umana; questa chiarificazione e nel tempo stesso indicazione di impegno è fondamentale per tutti, per evitare ogni equivoco e superare una mentalità sbagliata inveterata. Quasi che non bastasse ancora quanto già detto, il Concilio sempre a proposito di rapporti Chiesa e comunità politica, continua: «La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offerti dall’autorità civile.

Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza » (GS n. 76). Qui veramente si è a livello puro evangelico: per amore della credibilità si può e si deve rinunciare anche a dei legittimi diritti! Questo è un ideale certamente ancora lontano da una piena attuazione.

La terza importantissima affermazione del testo conciliare risponde a una domanda cruciale: chi rappresenta il cristiano (singolo o in gruppo, es. partito) impegnato direttamente in politica? La GS n. 76 è netta: «È di grande importanza che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori». Come è facile capire qui viene richiamata la duplice modalità di vivere la vocazione da parte dei cristiani laici; possono essere assunti per un ministero (es. catechista) nella comunità ecclesiale e allora rappresentano la Chiesa stessa, e per questo ricevono un mandato da parte dei Pastori; invece quando si impegnano lodevolmente secondo la loro primaria vocazione nelle realtà temporali (la politica in specie) rappresentano unicamente se stessi!

È assolutamente necessario e urgente continuamente rischiarire questa distinzione perché, come già detto, la confusione in proposito è grande e fonte di molti guai (basta una scorsa ai giornali o alla tv). Una piccola conclusione in merito a questa riflessione: forse oggi proprio nella nostra Italia, una delle carenze più gravi di presenza e di testimonianza cristiana la si deve dolorosamente registrare, più che in altri ambiti ecclesiali, nell’impegno politico generoso, serio, coraggioso, aperto al futuro e soprattutto ai fratelli in difficoltà, senza discriminazioni di sorta.

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