Andrea De Carlo: «Sperimentare è un dovere morale» a pagina

Geoffrey Chaucer, Giovanni Boccaccio e Agatha Cristhie hanno condiviso poco in quanto a stile letterario, ma certo l’espediente letterario del confinamento dei protagonisti in un microcosmo: modo per analizzare le profondità della psiche umana. Andrea De Carlo ha riproposto l’artificio: in Villa Metaphora (Bompiani, 2012) sono sviscerati i punti di vista di quattordici personaggi, costretti a vivere su un’isola immaginaria. Lo scrittore emiliano, venerdì scorso, ha emozionato il pubblico della fondazione E. di Mirafiore.
Albert Camus sosteneva che un romanzo scritto in giovane età non può rappresentare un buon libro. Come commenta?
«Non sono d’accordo. Credo che Camus volesse sottolineare l’importanza dell’esperienza di vivere e conoscere, anche se stessi. Ma una persona molto giovane può scrivere un buon libro; più difficile è continuare negli anni».
Esiste un’opera priva dell’influenza di altri autori, completamente originale?
«Penso che la sperimentazione di nuovi metodi narrativi sia un dovere morale per lo scrittore. Ma è inevitabile che le influenze esterne interagiscano anche se l’obiettivo deve essere di raccontare come nessuno ha mai fatto».
In VillaMetaphora le donne ricoprono un ruolo preponderante.
«Sin da bambino ho sempre preferito dialogare con le donne, poiché da sempre sono attratto da ciò che è diverso. Inoltre le donne – emotivamente e intellettualmente – sono fonti di ispirazione per le mie opere».
Crede nell’ebook?
«L’importante è che le persone continuino a leggere».
Marco Viberti

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