Tempo di crisi, vince la famiglia

L’INTERVISTA Parliamo con Maurizio Maggi, il ricercatore di Ires Piemonte che ha curato l’indagine sul clima d’opinione in regione (vedi l’altro articolo di questa pagina).

Che cosa accade al Piemonte, Maggi? Perché vince il pessimismo?

«La crisi economica ha messo a dura prova il potere d’acquisto delle famiglie e il loro morale. Assistiamo però a un’inversione di rotta nel modo in cui gli individui sembrano concepire se stessi. Dalle interviste emerge come ognuno si senta sempre più parte di una rete sociale e collettiva, meno confinato nella propria individualità. Una sorta di spirito comune e di appartenenza reciproca sembra farsi largo, probabilmente come reazione alle difficoltà economiche, che costringono ed esortano ad associarsi ad altri, a scambiarsi solidarietà per fronteggiare la criticità».

Che cosa intende?

«Nelle interviste effettuate da Ires sulla voce “fiducia” – ovvero quanto il piemontese sente di potersi affidare a qualcuno, ente pubblico o persona – assistiamo a una flessione nelle voci istituzionali. La fiducia nei magistrati scende dal 56 al 50 per cento nel paragone col 2012, quella nella Polizia dal 78 al 72,4, quella nell’assistenza pubblica dal 52 al 42 per cento. Verso la famiglia la fiducia sale dal 94 al 98 per cento. In pratica ogni intervistato ripone le proprie speranze nelle persone più care, nella cerchia stretta. Stessa dinamica in rialzo per le voci “fiducia negli amici” e “fiducia nei colleghi”.

Un discorso che interessa soprattutto i giovani?

«Non solo: anche i più anziani sembrano rivolgersi alla sfera privata e abbandonare quella pubblica. Non bisogna scordare che i giovani sono i più penalizzati dalla crisi. Spesso costretti a vivere in famiglia fino ai 30 anni e oltre. Un tempo a questa età avveniva un distacco, un taglio del cordone ombelicale. Oggi le restrizioni finanziarie costringono genitori e figli a contatti ravvicinati e prolungati che mutano i rapporti. Le nuove generazioni sono di fronte a una sfida. Hanno l’onere e l’avvincente opportunità di cambiare le regole del gioco».

Matteo Viberti

Un piemontese su due ha problemi

Mille e duecento interviste per capire cosa agita l’animo della gente, per raccontare i sentimenti e le passioni in un periodo storico senza precedenti. L’Ires Piemonte (Istituto di ricerche economiche e sociali) ha sondato, nel mese di febbraio, il cosiddetto “clima d’opinione” in regione. Emergono personalità infiacchite, il cui sonno sembra angosciato da incubi e difficoltà oggettive, sempre più legate alla basilare sopravvivenza e alla quotidianità materiale. Si assiste a una regressione nella sfera economica da parte delle famiglie, in concomitanza a un vero e proprio accartocciarsi della dimensione emotiva.

Vediamo alcuni dati: si dimezza (dal 4 all’1,5 per cento) il numero di chi, rispetto al 2012, ha registrato un miglioramento dell’andamento economico personale. Aumenta invece (dal 46 al 56,7 per cento) il numero di chi ha conosciuto un peggioramento. Solo per una famiglia su dieci le cose miglioreranno nel 2013, quasi una famiglia su tre (il 27,7 per cento) vede “nero”. Eppure, l’anno scorso il numero di famiglie pessimiste si attestava al 30 per cento.

Peraltro la percentuale di chi dichiara difficoltà a far quadrare il bilancio familiare aumenta dal 19 al 24 per cento. Pochi riescono a risparmiare (solo il 22,8 per cento, ovvero uno su cinque, in diminuzione di un punto) e crescono quelli che si indebitano o erodono le riserve, dal 19,9 al 26,3 per cento.

Un piemontese su quattro incontra difficoltà nel pagare bollette e affitto. Uno su dieci tribola nell’acquisto di generi alimentari, percentuale quasi raddoppiata rispetto al 2012. Chi ha difficoltà nelle spese per la salute passa dall’11 al 24 per cento, mentre le famiglie che faticano nelle spese scolastiche toccano l’11 per cento, contro il 7 dello scorso anno. In generale, i nuclei con difficoltà per almeno un motivo (casa, salute, scuola, alimentari, debiti, servizi) passano dal 43,2 per cento al 51,9 per cento. Solo il 2008 presentava risultati peggiori. Per la prima volta il numero di chi si indebita supera quello di chi risparmia. Il morale collettivo è basso, il pessimismo supera l’ottimismo.

m.v.

I giovani sono ottimisti

Abbiamo provato pure noi a replicare il sondaggio di Ires Piemonte, tarandolo su Alba. La prima voce è quella di Nicole, albese di 22 anni, studentessa di musica.Racconta: «Vedo persone che, in assenza di lavoro, stabilità e sicurezza, si chiudono in casa. Un amico mi ha detto di aver inviato 80 curricola. Nessun risultato. Si è rassegnato, rimane con i genitori, aspettando che capiti qualcosa. C’è invece chi si ingegna, chi viaggia (pochi giorni fa un amico è partito per l’Australia), chi inventa nuovi modi di interagire. Ho fiducia, perché le personesembrano “illuminarsi” in questo periodo critico. Ritrovano una creatività che prima ignoravano. Credo di rientrare in questa categoria».

Parliamo poi con un padre e una madre di 52 e 53 anni, che chiameremo Arturo e Milena. Raccontano: «Siamo una famiglia che non è stata toccata dalla crisi. Entrambi lavoriamo, abbiamo tre figli che hanno guadagnato una relativa indipendenza economica. Per cui, nel complesso, le cose sono migliorate. Non ci spaventa il futuro: Alba è piccola, la rete sociale è la vera risorsa su cui sentiamo di poter contare in caso di necessità». Maria Nicola, pensionata di 79 anni. Racconta: «Quando ero giovane mettevamo un’acciuga a centro tavola. Io e i miei figli la sfioravamo col pane per dare gusto alla mollica. Questa crisi economica, mi sembra ridicola. La gente non sa cos’è la povertà!». Infine Deborah, 22 anni, logopedista. Dice: «In casa ho un gatto molto anziano. Con gli anni si è abituato a mangiare nella stessa ciotola, appoggiata in un angolo della cucina. Se provi a cambiare posto alla ciotola, lui non mangia. Aspetta che qualcuno posizioni il contenitore nell’angolo giusto. Credo che molti si ostinino a fare le cose come sempre. Invece, è il momento di reinventare il mondo».

Riscontriamo la tendenza costruttiva in tutto il campione – non significativo – di dieci intervistati. Le nuove generazioni cominciano a equipaggiarsi.

 

LE STORIE

Antonio che cerca una via di fuga

Antonio si è trasferito ad Alba da Moncalieri. Si è laureato lo scorso anno in psicologia. Dopo la tesi, la meritata pausa. Ci spiega: «Nei mesi successivi ho cominciato a inviare curricula alle comunità terapeutiche, agli ospedali, ai centri privati. Quando mi sono accorto che nessuno rispondeva oppure lo faceva in modo negativo, ho capito che c’era poco da scherzare. Un senso di sgomento mi ha invaso. Chiedevo aiuto ai miei genitori, ma non capivano. Erano abituati al vecchio modello di lavoro, chiedere per essere assunto». Infine la decisione di venire ad Alba. Antonio spiega: «Tutti mi dicevano che c’erano soldi, le istituzioni funzionavano bene, che per i giovani laureati con idee e progetti, a differenza del resto del Paese, esistevano possibilità». Ma le cose non sono andate come Antonio sperava. «Anche sulle colline il vecchio sistema non va. Da un paio di mesi contatto agenzie e ogni tipo di struttura, ma mi vengono offerti contratti da duecento, trecento euro al mese. Stage, apprendistati, contratti a progetto, lavoro in un supermercato o in un call center. Voglio diventare psicologo, fare esperienza, conoscere». Antonio vive alla Moretta, in un bilocale, paga 500 euro al mese. I suoi genitori lo aiutano. Ma deve lesinare su alimentari e uscite serali. La cosa non gli dispiace, dice: «Tutti, nella vita, devono provare il sacrificio sulla pelle, imparare ad apprezzare il mondo a prescindere dal benessere». Se non troverà qualcuno disposto a credere in lui nel giro di quattro mesi Antonio se ne andrà: «Non perderò l’ottimismo. Mai. Chiederò gli ultimi soldi a mamma e papà, salirò su un aereo e andrò in un luogo lontano capace di “riconoscermi”. Se non altro, tutto è molto meno noioso di un tempo», scherza Antonio.

La signora B. ha bisogno di aiuto

La signora B. ha trascorso una vita in fabbrica. Poi la vecchiaia. La signora B. ha 91 anni, vive ad Alba ed è disabile al 100 per cento – non può muoversi, non può mangiare da sola né raggiungere il bagno. A raccontarci la sua vicenda è suo nipote, Walter, le cui parole esplodono di indignazione. «Mia nonna non riesce a vivere da sola. Per un’anziana disabile è necessaria la presenza di una badante», afferma il nipote quarantenne. «Fino a quando la Regione erogava un assegno mensile da 400 euro, potevamo permetterci di pagare. D’un tratto i contributi sono scomparsi, non ci sono più soldi». La crisi ha costretto i familiari, anch’essi anziani, a vivere nel torinese. «Sono un operaio in cassa integrazione. Non posso aiutare la nonna. La badante se ne andrà a inizio estate, poiché non percepisce stipendio. Ciò che più mi sconvolge è l’ingiustizia sociale racchiusa in questa crisi economica: i ladri continueranno a rubare, gli onesti saranno destinati a soffrire». Conferma il presidente del Consorzio socioassistenziale Alba, Bra, Langhe e Roero, Roberto Giachino: «Se i soldi dallo Stato e dalla regione non arriveranno saremo costretti anche noi a tagliare i contributi a molti anziani non autosufficienti. A quel punto, davvero, ci sarà solo la famiglia a soccorrerli».

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