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Il CAMMINO di Marcella

LA STORIA Tutto iniziò nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1997 lungo l’autostrada A26. Sembrava un viaggio come altri, ma chi era alla guida perse il controllo della vettura: Marcella, una bambina di 8 anni, venne sbalzata e cadde dal viadotto alto 28 metri. Nell’attesa di ritrovare la piccola la madre, Anna, fece un voto, promettendo, pur di ritrovarla in vita, che sarebbe andata a piedi a Lourdes. Da tre anni, Anna Rastello, torinese, atleta mezzofondista in gioventù, onora quella promessa, con l’iniziativa Il cammino di Marcella. Nel 2011 il cammino è iniziato il 26 febbraio da Sarzana, in provincia di La Spezia, ed è terminato l’8 maggio al Colle pirenaico del Somport, al confine tra la Francia e la Spagna, dopo 72 giorni e 1.600 chilometri percorsi a piedi. Ma non è finita. Il cammino, alla ricerca di un nuovo sguardo sulla disabilità (Marcella è paralizzata), è proseguito fino ad arrivare ad Alba l’8 luglio, all’interno di un percorso che interessa il Piemonte e che prevede altre tappe, tra cui Bra, Asti e Saluzzo. Anna incontra a ogni tappa un amministratore per fare il punto sulle strategie adottate a favore dell’accessibilità a persone diversamente abili.

Qual è il suo obiettivo, Anna?

«Raccogliere storie, iniziative, spunti dalla gente che troviamo sul sentiero. Perché c’è da cambiare una mentalità, la cultura della disabilità. Dobbiamo smettere di lavorare “per” i disabili e iniziare a lavorare “con” i disabili. Siamo soliti incasellare le persone: mia figlia è tetropareticaspastica. Oggi si muove su una carrozzina, vive per conto suo, parla, si è laureata ma continua a essere etichettata».

Anna Rastello, torinese, ed Enrica Cremonesi in cammino a Pollenzo.
Anna Rastello, torinese, ed Enrica Cremonesi in cammino a Pollenzo.

Quali sono i problemi?

«Ricordo l’orrore della “spiaggia per disabili”, una soluzione ghettizzante. Le persone disabili non chiedono di accedere ovunque ma solo di sapere “come” accedere. Se si comunicasse chiaramente che per arrivare in un luogo ci sono 20 gradini, sarà il disabile a decidere se continuare il tragitto o scegliere un’alternativa».

Perché camminare?

«Mi piace lo slogan di Lorenzo Ricci, atleta non vedente: È il sorriso che porta alla vittoria e non la vittoria che porta il sorriso. Dobbiamo cambiare punto di vista nel quotidiano: non parlare di crisi ma di trasformazione, ad esempio. Camminare significa questo: tornare all’essenziale. Invece di usare le persone e amare le cose, dovremo ritornare a usare le cose e amare le persone».

Maurizio Bongioanni

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