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Denominazioni da tutelare

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VINO Sta prendendo forma l’attività del Consorzio Barolo e Barbaresco nell’ambito della tutela. Dopo le attenzioni per la gestione ragionata degli impianti e il coordinamento di progetti di promozione e immagine, anche l’attività di tutela sta assumendo l’importanza che merita. Si tratta di un settore in cui c’è molto lavoro, non solo per controllare il livello qualitativo globale della denominazione e dei suoi vini, ma soprattutto per avviare le iniziative che hanno come denominatore comune il concetto di uso della denominazione. Ne abbiamo parlato con il presidente del Consorzio Pietro Ratti.

«Il concetto di uso del nome (denominazione di origine)», esordisce Ratti, «è un tema di grande portata e con sviluppi futuri notevoli. Finora, per fare tutela ci si è limitati a contenere e penalizzare i fenomeni speculativi della mistificazione o della frode in commercio. Tutte situazioni che andranno ancora tenute d’occhio, ma che non dovranno far perdere di mira il vero nocciolo della questione, vale a dire la salvaguardia della denominazione dagli usi impropri anche in altri campi produttivi».

Pietro Ratti

Le varie denominazioni, in particolare Barolo e Barbaresco, cominciano a essere, qui come altrove, oggetto dell’appetito di gruppi produttivi che spesso non hanno nulla a che fare col mondo del vino, ma che mirano a usare quel nome solo perché evocativo o dotato di un appeal particolare per i consumatori.

«Ognuna delle nostre denominazioni dispone di un nome geografico che ha un’importanza enorme e che in futuro può divenire una ricchezza straordinaria per la collettività dei suoi utilizzatori. Ma se non sarà gestito bene il suo uso potrebbe essere preda della speculazione di gruppi internazionali difficili da tenere sotto controllo. Perciò, il tema dell’uso più o meno libero e diffuso della singola denominazione dovrà presto essere affrontato per evitare che l’eventuale abuso in zona possa dare adito a meccanismi più rischiosi a livello mondiale».

Qualcosa, in questo senso, comincia a muoversi.

«Nei prossimi mesi daremo il via a un dibattito interno tra i produttori per sensibilizzarli sul valore che hanno in mano e trovare insieme le migliori soluzioni per tutelarlo. Nel frattempo, grazie all’incarico erga omnes avuto dal Ministero per le politiche agricole inizieremo un progetto di tutela, per il quale abbiamo chiesto il supporto economico di tutti i produttori che utilizzano le denominazioni Barolo e Barbaresco, aderenti o no al Consorzio. Non è un impegno gravoso, ma aiuterà a sensibilizzare tutti i protagonisti della filiera attorno a questo tema».

 Nella sostanza, che cosa capiterà?

«Ogni bottiglia di Barolo e Barbaresco sarà gravata dal prelievo di 5 millesimi di euro. In tutto, sarà creato un “tesoretto” di 85-90 mila euro che servirà a sostenere l’attività di tutela. Da un lato, questi soldi saranno utilizzati per pagare la protezione dei due marchi a livello mondiale e dall’altro a sostenere i costi di un agente vigilatore, una figura ufficiale istituita dalla legge che aiuterà il Consorzio a monitorare i mercati, prima in Italia e, poi, nel mondo».

 Anche i prodotti del tipo “salame al Barolo” o “baci al Barbaresco” dovranno seguire una loro regolamentazione?

«Questi sono prodotti trasformati e devono rispettare un iter autorizzativo. L’uso di una denominazione nella loro composizione e nel loro nome è regolato da un’autorizzazione biennale che può essere concessa dal Consorzio. A fronte di essa il beneficiario è tenuto a versare una quota in denaro che va anch’essa ad alimentare il budget per la tutela».

Un inciso, prima di concludere: non disporre di questa autorizzazione significa rischiare una forte sanzione e il sequestro della partita interessata. Perciò è una materia da non sottovalutare.

 Giancarlo Montaldo

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