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Barilla: la disoccupazione è affare della politica

Guido Barilla

L’INTERVISTA Guido Barilla, presidente della multinazionale alimentare, è stato ospite la scorsa settimana della fondazione E. di Mirafiore a Fontanafredda. Nel corso dell’incontro l’industriale ha presentato la storia della Barilla, che dal 1877 produce pasta. Barilla si è formato a Parma e negli Stati Uniti, entrando nell’azienda di famiglia nel 1982, per poi diventare dirigente nella sede centrale del gruppo a Parma. Dal 1993, dopo la morte del padre Pietro, è presidente della società.

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 Esistono rimedi contro la disoccupazione giovanile applicabili dagli imprenditori, Barilla?

«Non è compito dell’imprenditore – che deve sviluppare l’impresa e pensare alla sua buona salute – risolvere il problema della disoccupazione. Se fa bene il suo lavoro l’imprenditore potrà creare posti di lavoro. L’occupazione è quindi una conseguenza della sua capacità di amministrare l’azienda. In periodi di crisi le imprese possono essere più sensibili ai problemi della società, tuttavia il problema della disoccupazione resta materia politica».

 Lo Stato è un ostacolo per le imprese?

«Sì, in un Paese come l’Italia a vocazione non industriale, in cui l’azienda viene considerata un “male necessario”. Viviamo in un sistema in cui la burocrazia pesa molto, le difficoltà maggiori si incontrano nella parte operativa e abbiamo una fiscalità complessa».

 Che cosa consiglia ai giovani che desiderano lavorare in proprio?

«Alla base vi deve essere un’ottima formazione, con solide basi culturali. Il punto di partenza è un’idea, spesso un sogno, capace di generare reddito. Il sistema del credito del nostro Paese non è strutturato per finanziare le buone proposte; nel cinico modello italiano è necessario avere un piccolo capitale».

La sua azienda è leader nel settore alimentare, un’eccellenza italiana. Cosa è ancora possibile fare?

«L’agroalimentare non gode della priorità strategica che dovrebbe avere. Gli italiani devono prendere coscienza di questo. Tutto può e deve iniziare da qui».

 Manuela Anfosso

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