La ricetta anticrisi del viceministro Andrea Olivero

andrea-oliveroALBA «Meno populismi e più fiducia nel premier Matteo Renzi. Solo così l’Italia può sperare di rinnovarsi davvero e scacciare “crisi e farabutti”». Parola del viceministro alle politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Olivero.

Poco dopo l’elezione a senatore ha lasciato Scelta civica per fondare Popolari per l’Italia. Si è sentito tradito oppure è lei il traditore?
«Non parlerei di tradimento, ma del fatto che gli esponenti popolari di Scelta civica non si sentivano più rappresentati da un gruppo sempre più connesso a una visione liberal-aristocratica».

Renzi ha le qualità giuste per risollevare l’Italia?
«Piaccia o no, Renzi è l’unica figura in grado di segnare la svolta. Le forze politiche che lo sostengono devono accettare la sua sfida fino in fondo e contribuire alla realizzazione delle riforme necessarie. In vent’anni il Paese non solo non ha potuto beneficiare di riforme serie ma ne ha addirittura subite alcune sbagliate».

È appena stato in visita alla Ferrero che per la prima volta ha visto calare le vendite in Italia. Come si favorisce la ripresa economica?
«C’è la necessità di far ripartire i consumi, soprattutto quelli del settore agroalimentare, uno dei pochi ad avere tenuto durante la crisi. Presto verrà approvata la nuova politica agricola comune che prevede finanziamenti non più a pioggia e semplificazioni delle normative. Allo studio ci sono anche progetti per facilitare l’apertura di nuove imprese da parte dei giovani, i quali devono accedere facilmente al credito. Bisognerà sostenere le esportazioni e ridurre i costi della pubblica amministrazione».

Expo 2015 avrebbe potuto essere la grande chance.
«Lo è tuttora. Nonostante i problemi emersi, bisogna andare avanti. L’Italia non può farsi umiliare da una banda di farabutti, che vanno cacciati. Il Paese deve mostrare al mondo di essere in grado di sostenere le grandi sfide e che ha qualità in ogni settore. Per questo, a Milano, occorrerà valorizzare la nazione intera e non solo le singole eccellenze. Noi piemontesi dovremo fare in modo che i turisti ci visitino, partendo magari dalle Langhe».

La candidatura Unesco può giovare alla ripresa del Piemonte?
«Inizialmente ero perplesso, ma leggendo i dati sugli afflussi turistici che hanno interessato dopo il riconoscimento Unesco realtà simili a quella dei paesaggi vitivinicoli piemontesi, mi sono ricreduto. Può quindi essere la porta di accesso a un mercato turistico nuovo e qualificato, che ricerca l’eccellenza».

In terra sabauda gran parte dell’economia ruota attorno al tartufo bianco d’Alba. Senza una nuova legge, però, questo volano potrebbe risultare compromesso…
«È vero. Gli attuali regolamenti, anacronistici, rischiano di penalizzare l’intero settore e compromettere la qualità del tartufo d’Alba. Giudico in maniera positiva l’idea – contenuta in una delle proposte di legge vagliate nei mesi scorsi dalla Commissione parlamentare – di rendere il tartufo un prodotto agricolo in modo da porre i commercianti italiani sullo stesso piano fiscale dei competitor europei, mentre sarebbe negativa la scelta di eliminare la dicitura “Alba”, visto che le caratteristiche organolettiche del tuber albese sono riconosciute in tutto il mondo. Si può invece pensare di introdurre diciture aggiuntive, capaci di tutelare anche le qualità tartufigene di altre regioni. La speranza, e mi impegnerò in prima persona, è che si possa giungere, limando le resistenze dei vari territori coinvolti, alla definizione di una nuova legge prima dell’inizio di Expo 2015».

Enrico Fonte

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