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Cartolina dall’Italia

Cogliendo l’occasione dell’arrivo di due amiche taiwanesi residenti a Shanghai decidiamo di trascorrere le vacanze in Italia. Bello scendere da Torino a Manarola, Lucca, Pisa, Firenze, Siena, Assisi, Orvieto. Meraviglioso, fino alla stupenda Roma. La città eterna ci accoglie con le sue contraddizioni: la grande bellezza e i luoghi comuni che fanno capire il motivo per cui gli stranieri preferiscono evitare il Paese con il maggior numero di attrattive al mondo e con il potenziale turistico più elevato, e perché Il Messaggero quella mattina parlava della “grande monnezza” riferendosi alla decadenza della più bella città del mondo.

Dopo un’ora di coda sotto il sole ai Fori imperiali un addetto ci ammonisce, dicendo che quella in cui siamo è la coda sbagliata. «Ma mettere un cartello, no?», domanda mia moglie. «Signora, ci sono 25 mila visitatori al giorno: i cartelli dovremmo metterli fino alla metro», sbuffa l’addetto, indicando la stazione annegata nella calura. Incaricano però una persona di avvisare i turisti all’inizio della coda. Soluzione ben più costosa. Nel Foro erbacce ovunque e non un cartello a offrire qualche spiegazione storica. Dico alle taiwanesi di immaginarsi nel mezzo della vita di allora. Non credo ci fossero tutte quelle ortiche.

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Emily, una delle orientali, fatti pochi passi nel Colosseo (foto) si accorge di non avere più il portafoglio. Rubato. Si vergogna. Non era mai successa una cosa del genere a lei né ad alcuno della sua famiglia, si giustifica. Mi vergogno anch’io. Come un ladro. I carabinieri di piazza Venezia allargano le braccia: «Dovete tornare tra un’ora, ce ne sono tanti altri che devono sporgere denuncia. Eravamo in trenta a sorvegliare l’area, ora tredici, che possiamo fare? A Natale ci portavano dei dolcetti, adesso chiediamo ci regalino delle risme di carta e delle biro». Comprendiamo. Ci scusiamo. 

Per scattare qualche foto che cancelli nelle due taiwanesi l’amarezza del primo approccio, andiamo a Trevi, per scoprirla però impacchettata. Trinità dei Monti, allora. Anche la Barcaccia è sottoposta a lavori. «Ma farli a gennaio?». Penso, mentre passa rombante una Lamborghini dei carabinieri. Leggo il cartello di cantiere alla Barcaccia. “Fine lavori 20 luglio”. Peccato che oggi sia l’8 agosto. Festa del papà in Cina, «ba-ba, otto otto», dice Emily ormai rasserenata come solo gli asiatici, mentre scrive una cartolina con il più solare dei sorrisi. Intanto io imploro mia figlia al telefono di non volare con bagaglio da stiva, dovendo fare scalo a Fiumicino.
Saluti dall’Italia.

Teresio Asola

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