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«Se avessi figli avrei perplessità a mandarli a questa scuola»

don rizzolo antonio_qEgregio direttore, se oggi avessi dei figli avrei grosse perplessità a mandarli a questa scuola; non certo per la riforma o per quelle mai fatte, ma per quello che è nel suo complesso. Professori poco propensi agli aggiornamenti, in certi casi dei veri profani senza personalità, che pensano soltanto allo stipendio, scuole fatiscenti per colpa di un organo di governo disinteressato e lontano dalla cultura. Con un po’ di buona volontà si potrebbe avere più cura degli istituti, più organizzazione e professionalità; si potrebbe cambiare il volto a tanti organismi, con una modifica del programma si potrebbero ottenere ottimi risultati e più interesse formativo, con meno insegnanti inzuppati di ideologie o indottrinamenti, si potrebbe avere più tempo per le idee. La scuola pare la trincea di chi, nella vita, non ha saputo combattere contro l’insoddisfazione. Non è da trascurare l’intervento dei genitori, più propensi a fare gli allenatori o preparatori tecnici, che i padri di ragazzi che un giorno dovranno affrontare il duro compito della vita. Non sono le piccole riforme o un aumento di stipendio che possono cambiare un modo di pensare. Questa scuola cambierà quando ci sarà la volontà di considerare l’insegnamento alla base di una società che deve formare degli uomini capaci di affrontare le avversità della vita, e quando insegnanti e genitori capiranno questo.
Bruno Murialdo

È vero che non sono le piccole riforme o un aumento di stipendio a cambiare un modo di pensare. D’altra parte, più o meno ogni governo propone una riforma della scuola e sembra che si passi più tempo a discutere che ad affrontare e risolvere almeno le emergenze, educative ma anche strutturali (pensiamo alla situazione di tanti edifici scolastici). Non sarei comunque così negativo sulla scuola italiana. Ci sono ancora tanti insegnanti innamorati del loro lavoro e che tengono veramente a far crescere gli studenti come persone libere e responsabili. Penso che si debba soprattutto rimettere al centro il bene dei ragazzi, rinnovando il patto educativo tra le famiglie e gli insegnanti. Come ha ricordato papa Francesco nell’incontro con il mondo della scuola italiana del maggio 2014, «per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, professori, tutti!». L’idea il Papa l’ha ripresa da un proverbio africano: «per educare un figlio ci vuole un villaggio». Mi auguro che tutti possiamo pensare prima di tutto al meglio per i nostri ragazzi, al di là di tanti discorsi: ne va anche del futuro del nostro Paese.

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