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Aylan come la ragazza vietnamita o il bambino del ghetto di Varsavia

«A 48 anni sono troppo vecchio per trovare un lavoro?»

don rizzolo antonio_oEgregio direttore, la foto di Aylan, il bimbo di tre anni restituito dalla risacca alla battigia da cui era partito con fratelli e genitori, ha sconvolto il mondo e messo i giornali di fronte a un bivio: pubblicare o no? Capisco e rispetto le diverse scelte, ma forse è giunto il momento di scuotere le coscienze addormentate e renderci consapevoli: noi che crediamo i migranti ladri di posti di lavoro, spacciatori e impostori; noi che gridiamo e vorremmo mettere il filo spinato per respingerli (dice un nostro rappresentante al Parlamento europeo), «come con i cinghiali».

Forse era corretto e anzi doveroso, per quanto terribile, sparare la foto in prima davanti al caffè e alle nostre certezze. La foto di quel bimbo è destinata a entrare nella storia come la ragazzina di My Lai bruciata dal napalm o il ragazzo a braccia alzate nel ghetto di Varsavia. Questa è guerra, di cui ogni giorno leggiamo i bollettini; una guerra in cui si muore soffocati nei camion e nei barconi, si getta a mare lo zainetto con l’insulina vitale per la bimba, e si marchiano (a pennarello, per buona grazia) bambini come in un lager e si partorisce per terra sul piazzale della stazione di Budapest.

Se mio figlio muore, se è vittima di indicibili soprusi, io pretendo che se ne parli, che lo si fotografi, quale primo atto di giustizia vera. Come è stato per la foto della bambina vietnamita nel 1968, e quella del bambino ebreo a Varsavia nel ’43 , icona della Shoah: quei pugni nello stomaco a qualcosa sono serviti. Aylan, come la vietnamita e l’ebreo, è figlio di tutti noi.
Teresio Asola

La decisione di mostrare o no la foto del piccolo Aylan ha diviso i mezzi di informazione. Pubblicare poteva essere solo una spettacolarizzazione della morte, inaccettabile di fronte a un bambino. D’altra parte, non mostrare la foto poteva far cadere nella reticenza verso la tragedia dei migranti. E certamente quella foto ha scosso l’opinione pubblica e le idee di molti governanti. Al di là della scelta dei mezzi di informazione, dobbiamo però fare tutti un esame di coscienza. Per prendere decisioni che uniscano la ragione e l’emozione con le scelte concrete. Non basta una lacrima di commozione se tutto torna come prima, se non cambiamo idea verso i migranti. In quel caso la foto era solo spettacolo. Non basta neanche essere contrari alla pubblicazione se serve a giustificare la nostra indifferenza. Penso anche al piccolo Aylan, che cercava una speranza di vita e voleva solo giocare, non diventare un simbolo. E penso a tutti i bambini come lui che fuggono dalla guerra e dalle ingiustizie e di cui nessuno parla. Preghiamo per Aylan e per tutti loro, chiediamo che i mali siano risolti alla radice e facciamo prevalere sempre la solidarietà.

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