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Vino: novità in vista per il Diano d’Alba

VINO La proposta che viene dai produttori del Diano d’Alba, il Dolcetto del paese a pochi chilometri da Alba, annuncia un grande cambiamento nelle denominazioni albesi del Dolcetto.La richiesta, avanzata al Consorzio tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani che gestisce la denominazione, è finalizzata a poter declassare e riclassificare il Diano d’Alba Docg a Dolcetto d’Alba Doc, sia in scelta vendemmiale che allo stato di vino sfuso. Il consorzio ne ha discusso nell’ambito delle varie Consulte del Dolcetto d’Alba tenutesi ad Alba, Barbaresco e Barolo e sembra che nulla osti all’ipotetico cambiamento.

dolcetto

Cosa fare in concreto? Innanzitutto, si dovrà procedere alla modificazione del Disciplinare del Diano d’Alba Docg, prevedendo la possibilità per tale vino di ricadere sia come scelta vendemmiale che come riclassificazione nel Dolcetto d’Alba. Contemporaneamente, si dovrà procedere anche alla modifica del Disciplinare del Dolcetto d’Alba Doc, inserendo nella sua zona di origine il territorio di Diano, chiudendo quel “buco” al centro della zona che l’ha finora caratterizzata.
A livello pratico, nelle prossime settimane, i produttori del Diano d’Alba e quelli del Dolcetto d’Alba saranno chiamati a firmare la specifica richiesta di modifica del Disciplinare. Se il progetto andrà in porto, le uve Dolcetto e il vino sfuso legati alla Docg Diano d’Alba potranno essere declassati e riclassificati, oltre che alla Doc Langhe, anche alla Doc Dolcetto d’Alba, magari con l’opportunità di scontare un prezzo un po’ più remunerativo. I dati economici confermano l’opportunità di questo passo: rispetto alla potenzialità di 14.000 ettolitri di vino (1.866.000 bottiglie), nella realtà la rivendicazione annuale di Diano d’Alba è pari a 6.000 ettolitri (800.000 bottiglie). Ma c’è di più: una parte di questi 6.000 ettolitri (2.800 ettolitri pari a circa 373.000 bottiglie) vengono ancora riclassificati a Langhe Dolcetto oppure a Langhe rosso, se non addirittura a vino generico.

Un problema che viene da lontano. Poco è cambiato, poi, dal 1984: allora, su una potenzialità di 14.000 ettolitri, solo 5.000 venivano realmente rivendicati a Diano d’Alba Doc, mentre la quota restante (9.000 ettolitri) seguiva già altre strade, venendo venduta come uva da vinificazione a privati oppure come vino da tavola in damigiana. Alla luce di queste considerazioni, probabilmente questo passo andava fatto molto tempo fa. Probabilmente, nel 1974, invece di creare una denominazione specifica per questo paese, sarebbe stato meglio differenziarne la presenza nella Doc Dolcetto d’Alba con una specifica sottozona. Purtroppo, parafrasando un vecchio detto, a poco serve piangere sul “vino versato”. Forse, è meglio pensare alle opportunità che possono scaturire dall’attuale proposta di modifica e che possiamo così sintetizzare.
1) Aumento del valore delle uve Dolcetto di Diano d’Alba (ricordiamo che la Docg Diano d’Alba obbliga la vinificazione solo nell’ambito di tale paese).
2) Un freno alla riduzione della superficie vitata a Dolcetto a Diano.
3) Un incremento della qualità globale del Dolcetto d’Alba, recuperando a tale denominazione partite di uve e di vino di Diano, territorio vocato per tale produzione.
Ciò che al consorzio pensano di escludere è il rischio che tale mossa finisca in qualche modo per alterare gli equilibri della Doc Dolcetto d’Alba. Una denominazione di circa 1.400 ettari e di oltre 66.000 ettolitri (quasi 9 milioni di bottiglie) di vino non dovrebbe patire l’introduzione di una parte di quegli 8-10 mila ettolitri che potrebbero provenire dalla Docg Diano d’Alba.
Giancarlo Montaldo

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