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Buccolo, direttore d’orchestra albese in Siberia

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Il direttore d'orchestra albese Marco Buccolo
Marco Buccolo a Tomsk (3)
La locandina del concerto intitolato “Maestro Buccolo”

INTERVISTA L’esperienza in Siberia del direttore d’orchestra albese
Uno striscione di sei metri per tre con la gigantografia del suo volto ha annunciato la presenza dell’albese Marco Buccolo alla direzione dell’orchestra sinfonica di Tomsk. Una campagna pubblicitaria tutta incentrata sulla sua persona e la sensibilità musicale tutta italiana ha riempito la sala filarmonica da 700 posti nel cuore della Siberia. Un’impostazione quasi “divistica”, di cui l’ottimo ma schivo direttore d’orchestra albese – il primo italiano a dirigere la grande orchestra filarmonica siberiana – non si capacita.
«È stata una magnifica esperienza, nata in seguito ai workshop e ad altri concerti che ho tenuto a San Pietroburgo», racconta Buccolo, di ritorno dal viaggio che lo ha portato a lavorare per cinque giorni di intense prove con l’organico di settanta musicisti che compone l’orchestra filarmonica stabile della città siberiana.

Che cosa porta nel cuore di questo viaggio?
«Ho apprezzato molto l’atteggiamento dei musicisti. Per cinque, intensi giorni di prove ho lavorato con loro sui dettagli tecnici, prima che su quelli espressivi, dallo studio della nota, alla frase musicale. Mostravano di nutrire un grande rispetto per le possibilità di studio e di arricchimento professionale che offriva il confronto con una direzione di tradizioni e sensibilità diverse da quelle a cui erano abituati. Il loro repertorio ha suoni corposi, massicci, mentre io ho cercato di avvicinarli all’impostazione italiana: più ariosa, leggera, aperta a un suggestivo senso del respiro».
Quali le differenze che ha riscontrato con l’Italia?

«Nella vastità della Siberia Tomsk, dove è stata costruita la prima centrale nucleare e c’è la principale facoltà di fisica nucleare russa, conta 550 mila abitanti e un calendario di trecento concerti all’anno. Oltre alla Filarmonica c’è persino un teatro dell’operetta e l’orchestra è stabile, pagata dallo Stato. Un biglietto costa come una cena al ristorante e le sale da 700 posti sono sempre piene. Ci sono forti investimenti sulla cultura e danno risultati in termini di qualità e professionalità. Qui in Italia le orchestre chiudono. I loro musicisti spesso fanno altro per vivere (nei casi più fortunati insegnano, ma alcuni si adattano a fare tutt’altro per arrotondare). Si lavora di fretta e in modo discontinuo. Là, tempo e continuità permettono di “costruire il suono”. Qui si lavora ognuno per proprio conto, magari dividendosi tra più orchestre, e poi ci si trova poco prima del concerto per le prove».
Una sintonia?
«Il programma concordato mesi fa era molto festoso, ma mi pareva non fosse coerente con il clima internazionale. Così ho proposto di aprirlo con l’Aria sulla quarta corda di Bach, per soli archi, in memoria delle vittime degli attentati. Non solo hanno accettato, ma mi hanno ringraziato per questo. E mi hanno invitato a tornare».

v.p.

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