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A Vinitaly cresce l’interesse verso i vini biologici

VINO  Un padiglione 10 (dedicato al Piemonte) più ampio di almeno 50 metri rispetto allo scorso anno, stand di design moderno, gigantografie di colline in autunno e primavera, un albero vero con una casetta di legno alla sommità come vetrina per prodotti, ricostruzioni di recipienti vinicoli, clienti più selezionati grazie anche al prezzo d’ingresso giornaliero “impennato” a 80 euro contro i 60 dell’anno precedente.

Vinitaly compie 50 anni e muta il proprio aspetto, aggiunge eleganza e appropriatezza, un’esattezza che semplifica i processi di incontro. Domenica 10 aprile, per quattro giorni, oltre quattromila produttori (600 solo nell’area piemontese) hanno esposto i propri prodotti a operatori, importatori, privati e giornalisti di tutto il mondo. Gazzetta ha girato tra gli stand, parlato con i produttori e i turisti per tentare di comprendere le evoluzioni di un mercato sempre più proficuo ma anche sempre più competitivo, selvaggio, irregolare.

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Uno dei fili rossi che sembra coniugare preoccupazioni e desideri dei produttori pare essere quello del futuro della vite. Decine di vini biologici e biodinamici esordiscono sugli scaffali. Spiega un produttore dell’area del Barolo, che preferisce rimanere anonimo: «Leggevo un saggio di Attilio Scienza, che spiegava come il miglioramento genetico della vite, prima ottenuto con gli incroci classici, poi con l’ingegneria genetica, possa apportare grandi benefici al nostro settore, ma prima bisognerà vincere le resistenze dell’opinione pubblica verso le innovazioni nate dal progresso scientifico. Per quanto ci riguarda siamo molto attenti alle evoluzioni del clima, ai mutamenti ecologici in genere. In futuro non potremo prescindere dall’elemento naturale per pianificare le nostre strategie produttive e quindi di mercato». Un sommelier statunitense mette l’accento sul parametro qualitativo: «I clienti americani che non conoscono i prodotti italiani scelgono dalla carta dei vini lo Chardonnay o il Chianti; è un automatismo, che avviene a causa della maggior popolarità di queste etichette. Stiamo tentando di educare il nostro pubblico ad apprezzare Nebbiolo, Barbera e Barolo. Pian piano l’opinione pubblica, anche quella meno “dotta”, sta mutando i propri gusti. Prevediamo un futuro dove il prezzo scenderà in secondo piano in favore di una progressiva qualità».

Ecologia e qualità, dunque. Tra i produttori locali l’attenzione verso l’estero sembra regnare sovrana. Ai tavoli degli incontri d’affari, si vedono giapponesi, americani, taiwanesi e tedeschi. Gli unici italiani sembrano privati, curiosi o ragazzi in cerca di giornaliero divertimento. C’è traffico di idee, scarabocchi sulle agende, scambio di biglietti da visita. Una maggiore solidarietà e confronto tra questi ultimi sembra emergere, come fa notare l’export manager di una cantina delle Langhe relativamente giovane. «Reti di collaborazioni stanno crescendo anche tra noi produttori, il mondo del vino è meno individuale e più collettivo di un tempo. Guardiamoci attorno: è una società multietnica, dove i confini spariscono e le geografie si mescolano. Serve supporto reciproco, non avversità».

Le prime giornate di Vinitaly si concludono così, con l’impressione sostanziale che, sebbene le criticità non siano esaurite, grandi movimenti ribollono nei sotterranei di ciò che finora è stato.

Matteo Viberti

 

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