Se Ian d’Agata consegna Barolo al Mondo

Collisioni
Collisioni progetto vino

COLLISIONI La mattina del 14 luglio di fronte al castello di Barolo c’è un palcoscenico. Sopra, un uomo ride e indica uno per uno i componenti della piccola folla che si è creata ai suoi piedi. Ognuno, dopo essere stato indicato, si presenta. Nessuno parla italiano.

Ci sono brasiliani, cinesi, australiani, americani, giapponesi. Sono i giornalisti, i sommelier e gli importatori di vino più famosi del momento. Tutti amici dell’uomo sul palco: Ian d’Agata, italo canadese e scrittore per Antonio Galloni, uno dei blog più famosi in Italia.

Ian d’Agata ha radunato un piccolo esercito nel cuore delle Langhe per alzare il sipario di Collisioni, festival letterario e musicale che per quattro giorni occuperà Barolo. È il cosiddetto “Progetto Vino”. Ma la scena di cui d’Agata è protagonista sembra racchiudere verità che oltrepassano l’evento in sé: un interesse internazionale crescente, un potenziale attrattivo di economie e culture espresso dal vitigno Nebbiolo, un assottigliarsi dei confini spaziali, un business in inarrestabile ascesa e il sempre più solido coincidere tra l’identità delle Langhe con l’universo delle cantine.

Durante le degustazioni e i seminari organizzati dai vari consorzi, Ian d’Agata interpella gli esperti internazionali e sollecita osservazioni su come cambino le percezioni dei consumatori, i mercati, le culture. “L’Arneis è pressoché sconosciuto negli Usa, ma soltanto perché il Gavi è più famoso e ha un nome più facile da pronunciare”, spiega una sommelier di New York.

E un ristoratore californiano: “Il Barbera, quando viene spiegato, è apprezzato. Altrimenti il consumatore tende a ignorarlo”. Aggiunge una giornalista cinese: “Mentre i vini rossi piemontesi risultano in rapida ascesa, in Cina i bianchi italiani sono pressoché sconosciuti. Vogliamo potenziare il mercato, ma per farlo è necessario raccontare, educare, comunicare”.

Nella folta tormenta dei nomi di prodotti inflazionati e famosi, emergono varietà più marginali, come il Gattinara – un vitigno di nebbiolo la cui produzione è consentita nella sola provincia di Vercelli – o il Pelaverga. I piccoli avanzano, gli storici – come Barolo e Barbaresco – mantengono la propria indiscussa egemonia.

Nel paragone col mercato francese, storicamente irraggiungibile, il Piemonte sembra guadagnare punti. “Nel mio paese l’Italia sta recuperando reputazione”, dice un sommelier australiano. “Il futuro? Secondo me, i vini toscani, veneti e piemontesi subiranno impennate di valore crescenti”. E mentre tra il pubblico si mormora e si commenta la recentissima notizia della cessione di Vietti – storica azienda di Barolo – a un magnate americano, l’odore nell’aria è quello di una terra che s’appresta all’ingresso di un universo di celebrità, proliferazione e bellezza. Il rischio di scordare l’umiltà su cui è stata fondata sarà il rischio da scongiurare.

Matteo Viberti

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