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Asti: la crisi c’è, quali sono le cause?

Asti: la crisi c’è, quali sono le cause?

VITICOLTURA Nei giorni scorsi, al Consorzio dell’Asti, sono state presentate le novità della vendemmia 2016. Abbiamo notato con favore la ritrovata unità della filiera: al tavolo c’erano i rappresentanti del mondo agricolo e quelli della componente di trasformazione: una novità da rimarcare, visto che nel passato ci sono stati scontri, spesso feroci, anche nel mondo agricolo. A sottolineare la ritrovata unità la presenza all’incontro dell’assessore regionale all’agricoltura, Giorgio Ferrero.

Un settore in piena crisi. Nessuno dei presenti ha nascosto che il settore, specie quello dell’Asti spumante, è in crisi profonda. Aver perso 25 milioni di bottiglie in poco tempo è difficile da sottovalutare. Restano i dubbi su una gestione che non ha dato i frutti sperati, se pensiamo che 4-5 anni fa si temeva di non avere prodotto a sufficienza e venivano richiesti 1.500 ettari in più in deroga al blocco degli impianti. Ricordiamo, poi, che negli ultimi anni s’è lavorato per portare nelle cantine il massimale consentito dal disciplinare, con frequenti recuperi di quel 20% che rappresenta il supero di legge. La crisi viene annunciata come un dato di fatto e stupisce che nessuno abbia cercato di spiegarne le ragioni. Una domanda viene spontanea: visto che le vendite dell’Asti sono in mano a un gruppo di grandi firme che da sole rappresentano una fetta enorme di mercato, non sarà che questi players non credono più nel prodotto e nel suo valore?

Le novità fanno discutere. Per ragioni legate a un intervento dell’Antitrust, la normativa del Moscato non c’è più. Al suo posto c’è una sorta di “patto” suffragato dall’Assessorato regionale all’agricoltura. Considerata la crisi, il nuovo patto ha recepito le volontà del settore e prevede una forte riduzione di produzione del Moscato destinato ad Asti spumante: 78 quintali anziché 100. Per il Moscato d’Asti la resa è fissata a 95 quintali. Oltre alla resa per i vini Docg, vengono anche indicate altre rese che portano la produzione massima a ettaro del vigneto Moscato a 120 quintali, con una forte quota destinata alla produzione dei cosiddetti “aromatici”, prodotti che rischiano di fare ulteriore concorrenza allo stesso Asti. In presenza di una crisi così conclamata, ci saremmo aspettati una riduzione di resa tout court, ma, a detta dei rappresentanti del Consorzio, una soluzione così drastica nel mondo del Moscato non è possibile. Un’altra novità sta suscitando dibattito ed è legata alle uve per Moscato d’Asti. In questo caso, la resa per ettaro supera di 17 quintali quella per l’Asti.

Ciò rischierebbe di provocare una forte rivendicazione di Moscato a scapito dell’Asti. Per evitare questo rischio, la filiera ha deciso di parificare l’introito a ettaro tra chi vende Moscato per Asti e chi lo fa per Moscato. Come? Prelevando dal valore delle uve per Moscato d’Asti 77 euro a quintale per i 17 di esubero tra 78 e 95 quintali a ettaro. Detto in soldoni, un viticoltore che vende 95 quintali di uva per ettaro deve versare 1.309 euro a ettaro a uno specifico fondo destinato a fare promozione alla Denominazione. Naturalmente, questo sta creando dibattito e molto malumore. C’è anche chi si chiede se la proposta abbia le basi legali per essere applicata a chi non è d’accordo.

Giancarlo Montaldo

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