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Salvatores, così un premio Oscar parla di paesaggi

Salvatores, così un premio Oscar parla di paesaggi
Gabriele Salvatores

L’INTERVISTA
Il regista al Sociale con Carlo Petrini ed Enrico Magrelli
Domenica scorsa Gabriele Salvatores – classe 1950, premio Oscar per il film Mediterraneo – è stato ospite di Poetica nel teatro Giorgio Busca, dove ha parlato di paesaggio che muta, paesaggio estetico e paesaggi interiori con Carlo Petrini ed Enrico Magrelli.

Perché nei suoi film il paesaggio appare preponderante?
«Volevo portare il pubblico in viaggio con me. Sia in Mediterraneo che in Marrakech express, il contesto estetico è saliente. Non volevo fare film in quattro stanze di un appartamento, mi sarebbe sembrata un’ambientazione disperante e poco stimolante. In Puerto Escondido eravamo su un altopiano desertico. Ascoltavamo storie delle popolazioni locali che ci raccontavano di questo cactus allucinogeno, il peyote, che utilizzavano per andare a caccia e che “ti univa con la natura”. Eravamo incuriositi: “È il peyote a trovare te, non tu a trovare lui”, ci dicevano gli abitanti. Noi non lo trovavamo. Così iniziammo a girare scene del paesaggio circostante, anche se non ci servivano per il film. A un certo punto guardammo per terra e trovammo il peyote. È solo un modo di raccontare quanto il rapporto con il paesaggio possa condurre a esperienze importanti».

Il paesaggio tuttavia è anche politico, non solo estetico. Nei suoi film la componente sociale sembra sempre influenzare gli eventi in maniera determinante.
«Facciamo un esempio. Nel Mediterraneo oggi assistiamo a un gravissimo cambiamento di paesaggio. Nel film raccontavo un’isola greca di pace, dove i soldati trovano un’oasi lontana dalle atrocità. Oggi quelle isole e quel mare sono diventati terreno di scontro, un cimitero. Anche negli Stati Uniti – terra da me amata e odiata, come avviene verso tutte le cose importanti – stanno attraversando cambiamenti di paesaggio. In altri luoghi, disastri ecologici sembrano rappresentare la vendetta del pianeta su ciò che l’uomo sta facendo. I volti umani determinano i cambiamenti del paesaggio e dobbiamo stare attenti, mai perderli di vista».

In questo contesto, cambiano anche i paesaggi interiori degli uomini?
«Viviamo un’epoca nella quale la velocità ha preso il sopravvento. Il cinema riflette questo ritmo interiore: è veloce, non lascia vuoti né lentezza, sottrae spazio al pensiero. Pensiamo al cinema americano: Internet funziona secondo gli stessi principi. Credo che in futuro questa velocità rallenterà leggermente. O comunque sarà integrata da una maggiore riflessività e lentezza. Assisteremo a un recupero della “verticalità”, della profondità lontana dall’orizzontalità più immediata e frammentaria che, nella comunicazione, sembra aver preso il sopravvento».

Matteo Viberti

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