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Referendum: perché votare sì, perché votare no

Perché votare sì Perché votare no

Violante: la riforma ci darà un Paese migliore

Luciano Violante sostiene il sì. Magistrato e deputato – è stato presidente della Commissione parlamentare antimafia e della Camera dei deputati – vede nella riforma costituzionale Renzi-Boschi l’occasione per migliorare l’assetto del Paese. Lo abbiamo incontrato ad Alba a novembre, ospite del Comitato per il sì.

La riforma, con la modifica di 47 articoli della Costituzione sul totale di 139, è il più profondo progetto di revisione della nostra Carta dalla sua entrata in vigore. Era necessaria una riforma di tale portata, Violante?

«Direi di sì. È dal 1983 che cerchiamo di intervenire sulla seconda parte della Costituzione, senza riuscirci. Ci siamo resi conto della necessità di inserire al suo interno regole fisse per la stabilità e la velocità dei provvedimenti, aspetti che i padri costituenti decisero di escludere dalla Carta, al fine di trovare un accordo tra le forze contrapposte presenti nell’Assemblea. Oggi il contesto è mutato: occorre una democrazia decidente. La riforma è così ampia perché riguarda argomenti connessi; se si parla di rapporto Stato-Regioni è inevitabile non fare riferimento al procedimento legislativo, da qui alle modalità di elezione del capo dello Stato e così via. Come il Parlamento si è espresso con un voto unico sul complesso della materia, è importante che i cittadini abbiano la stessa opportunità».

La riforma prevede il superamento del bicameralismo paritario. Affidare il procedimento legislativo ordinario alla sola Camera servirà a migliorare la produzione di leggi?

«Se posso fare una previsione, credo davvero di sì. Solo la Camera potrà avviare l’iter legislativo e, una volta approvata una legge, il Senato potrà richiamarla entro dieci giorni e nei trenta giorni successivi dovrà pronunciarsi. Si avrà una grande riduzione dei tempi, così come una riduzione del numero dei provvedimenti. Credo che questa soluzione porterà a minori negoziazioni e di conseguenza a leggi più chiare».

Il nuovo Senato rappresenterà le Regioni e allo stesso tempo manterrà alcune delle sue attuali prerogative. Sarà assicurata la sua rappresentatività, anche se i senatori verranno eletti in modo indiretto?

«Il Consiglio regionale non darà un voto di preferenza, ma sceglierà la lista. Chi formerà le liste? I cittadini nelle elezioni regionali. Per esempio, quando si andrà a votare per il Consiglio regionale in Piemonte, si voteranno sia i candidati al Consiglio regionale che rimarranno tali sia quelli che, se eletti, diventeranno candidati al Senato. Verranno poi inseriti nelle liste, in base alle preferenze espresse: saranno sempre i cittadini a scegliere i senatori-consiglieri. Si parla di elezione indiretta perché, se fosse diretta, i senatori dovrebbero dare la fiducia al Governo, al pari dei deputati».

Con l’eliminazione della competenza concorrente Stato-Regioni, la maggior parte di queste materie ritornano allo Stato: non si svuota l’autonomia regionale?

«Le Regioni non sono tutte uguali, alcune funzionano altre no, con il rischio di penalizzare i cittadini di queste ultime. Alcuni poteri sono centralizzati, ma le Regioni in equilibrio di bilancio potranno chiedere di esercitarli direttamente. Per quanto riguarda la questione delle grandi reti, come i porti, gli aeroporti e la rete energetica, ritornano allo Stato in quanto materie di interesse nazionale».

Perché votare sì?

«Votare no significa lasciare la situazione invariata. Il sì, al contrario, porterà a un cambiamento in positivo: maggiore stabilità, maggiore rapidità e maggiori diritti per i cittadini».

Francesca Pinaffo

Spataro, il magistrato che si batte per il no

Armando Spataro dal 2014 è procuratore della Repubblica di Torino, dopo aver ricoperto a lungo il ruolo di aggiunto presso il tribunale di Milano, coordinato il Gruppo specializzato nel settore dell’antiterrorismo, ricoperto il ruolo di segretario nazionale del Movimento per la giustizia, una delle correnti di sinistra dell’Associazione nazionale magistrati. Nei giorni scorsi lo abbiamo incontrato ad Alba, nel corso di un convegno in cui si discutevano le ragioni per votare no al referendum del 4 dicembre, giorno in cui gli italiani si pronunceranno sulla cosiddetta riforma Renzi-Boschi, ovvero sulla modifica di 47 articoli della Costituzione.

Perché votare no al referendum, Spataro?

«Si può riformare la Costituzione, ma non stravolgerla. Si può incidere con scelte coraggiose, ma facendo partecipare al dibattito il Parlamento. Questa riforma non era necessaria, perché è caratterizzata da uno squilibrio del rapporto tra i poteri dello Stato. Vi si trova un netto sbilanciamento verso il potere esecutivo, mentre il Parlamento viene ridotto a mero strumento di ratifica. Perché questo? È come se le regole dell’economia e del mercato finanziario dovessero imporre ai governi e alle costituzioni un certo indirizzo, in modo che l’esecutivo sia abilitato ad adottare decisioni in maniera tempestiva e immediata – assecondando le tempistiche caratteristiche della finanza –, senza che il Parlamento possa esercitare quel ruolo di verifica dal valore imprescindibile».

Ci può spiegare meglio il rapporto tra mercato finanziario e politica?

«È sufficiente leggere le opinioni di chi in Italia ha sostenuto la riforma (come Fabio Salvati o Luciano Violante), oppure di società internazionali di rating. Sostengono, appunto, che l’economia e i mercati finanziari impongano decisioni tempestive e immediate al Parlamento. Adattarsi a questo presupposto – secondo il quale bisogna riformare l’iter decisionale, adeguandolo alla velocità, per garantire la governabilità – significa in parte rinunciare al proprio potere e diventare una sorta di tappetino. Dovremmo invece escogitare modi per rispondere con efficacia ai nuovi problemi, ad esempio le migrazioni, i grandi cambiamenti del mondo e quelli in corso nel Paese. Inoltre, ed è la domanda più importante: se diamo per scontata la crisi della governabilità, significa davvero che la colpa è della Costituzione? Non siamo piuttosto di fronte a una crisi della politica, in particolare dei partiti, che vede centinaia di parlamentari migrare da una formazione all’altra e creare subgruppi e alleanze varie? Se la crisi politica esiste anche in altri Paesi europei, perché pure in quelli non si chiede di cambiare la Costituzione?».

Con l’eliminazione della “competenza concorrente”, la maggior parte delle materie ritornano allo Stato: non si svuota eccessivamente l’autonomia regionale?

«In effetti, non possiamo centralizzare funzioni importantissime che possono essere espletate meglio a livello locale. Il referendum avrà l’effetto di creare conflittualità tra le Regioni, perché creerà confusione: ci sono definizioni vaghe dei limiti delle competenze, quindi lo Stato non avrebbe esclusività totale di espletamento di alcune funzioni. Questi confini sfumati potrebbero provocare impreviste difficoltà».

L’impressione è di avere di fronte una complessità eccessiva ed eccedente la capacità di informarsi da parte dei cittadini. Che cosa ne pensa?

«La riforma costituzionale approva 47 articoli nuovi, adottando un linguaggio poco comprensibile. Molti costituzionalisti hanno detto: “Se il referendum dovesse passare, smetterei di insegnare la Costituzione perché non capirei io stesso alcune terminologie o le sue implicazioni”».

Matteo Viberti

Referendum: perché votare sì, perché votare no
Il facsimile della scheda elettorale.

Consultazione confermativa, senza un quorum

DA SAPERE Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, soppressione del Cnel e revisione del titolo V della parte II della Costituzione.

Il 4 dicembre siamo chiamati a esprimerci sul disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi. La riforma, approvata da entrambe le Camere e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 15 aprile 2016, per entrare in vigore dev’essere sottoposta al voto dei cittadini, in quanto legge di revisione costituzionale (articolo 138 della Costituzione). Quello del 4 dicembre sarà, pertanto, un referendum confermativo, cioè senza quorum: vincerà, tra il sì e il no, l’opzione che raggiungerà il maggior numero di voti, a prescindere dal numero degli elettori. Frutto di decenni di dibattito politico, è il più profondo progetto di riforma della nostra Carta costituzionale dalla sua entrata in vigore. Per non arrivare impreparati alla scheda elettorale o per sciogliere gli ultimi dubbi, cerchiamo di comprenderne gli elementi essenziali.

BICAMERALISMO PARITARIO

Il disegno di legge prevede che la Camera dei deputati sia composta da 630 membri, eletti a suffragio universale e diretto (come oggi). Solo la Camera, secondo la riforma, però, vota la fiducia al Governo ed esercita la funzione legislativa ordinaria.
Il nuovo Senato della Repubblica è composto da 100 membri (oggi sono 315): 95 sono rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai Consigli regionali in modo proporzionale tra i loro membri (21 devono essere sindaci, uno per regione); i restanti cinque, nominati dal capo dello Stato per altissimi meriti, restano in carica per sette anni. I seggi dei senatori-consiglieri vengono ripartiti in proporzione alla popolazione di ciascuna regione e la durata del loro mandato coincide con quella degli organi territoriali dai quali sono stati eletti: sono i cittadini, nel momento dell’elezione del Consiglio regionale, a indicare quali consiglieri saranno anche candidati senatori. Non è prevista l’indennità parlamentare per i senatori ma è prevista l’immunità.

PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

L’attuale procedimento bicamerale, nel quale Camera e Senato esercitano collettivamente la funzione legislativa, permane per un numero limitato di materie, tra cui: revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali; minoranze linguistiche e referendum; forme della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche dell’Unione europea.
Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato è trasmesso al Senato, che entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi può deliberare modifiche, ma è la Camera a pronunciarsi in via definitiva, senza ulteriori passaggi.

f.p.

Capire il disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi è indispensabile per decidere quale scelta compiere

DA SAPERE Il disegno di legge Renzi-Boschi introduce il voto “a data certa”, richiesto dal Governo per i disegni di legge ritenuti essenziali per l’attuazione del programma. La Camera ha 70 giorni di tempo per votare la legge. È una procedura esclusa per alcune tipologie di provvedimenti, come le leggi bicamerali e le leggi elettorali.

DECRETAZIONE D’URGENZA

Non potranno essere disciplinate con decreto legge determinate materie, come quella costituzionale ed elettorale, la ratifica di trattati internazionali e l’approvazione di bilanci e consuntivi. I decreti legge devono presentare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

COMPETENZA STATO-REGIONI

È riformulato l’articolo 117 della Costituzione. Viene eliminato ogni riferimento alle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, che vengono ridistribuite tra la competenza esclusiva statale e quella regionale. La maggior parte tornano allo Stato: ricerca scientifica; tutela, sicurezza e politiche del lavoro; commercio con l’estero; protezione civile; produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia.
È introdotta la “clausola di supremazia”: su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla sua legislazione a tutela dell’unità della Repubblica o dell’interesse nazionale.

ELEZIONE DEL PRESIDENTE

Il presidente della Repubblica viene eletto dalle due Camere, senza la partecipazione dei delegati regionali previsti oggi. Cambia il quorum per l’elezione: i due terzi degli aventi diritto per i primi tre scrutini, dal quarto al sesto i tre quinti e dal settimo scrutinio i tre quinti dei votanti (cioè di coloro che partecipano effettivamente al voto).
Dei 15 giudici della Corte costituzionale, 5 sono di nomina parlamentare. Per questi ultimi cambia il metodo di elezione: tre da parte della Camera e due del Senato.

CNEL E PROVINCE

Il disegno di legge Renzi-Boschi abroga l’articolo 99 della Costituzione, che prevede il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), un organo consultivo del Parlamento da più parti considerato inutile e costoso. È altresì eliminato ogni riferimento costituzionale alle Province. Cambia l’art 114: la Repubblica sarà formata da Comuni, Città metropolitane, Regioni e Stato.

NUOVI PRINCIPI COSTITUZIONALI

Le leggi elettorali, prima della promulgazione, possono essere sottoposte al giudizio preventivo della Corte costituzionale, su ricorso di un quarto dei componenti della Camera. Viene rafforzato il principio dell’equilibrio di genere tra uomini e donne nella rappresentanza statale e regionale.

f.p.

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