La triste Alba e la vivace Bra di don Giuseppe Francesco Baruffi

Dalle “Pellegrinazioni autunnali” (1842) dello studioso monregalese

La triste Alba e la vivace Bra di don Giuseppe Francesco Baruffi
Partita di pallapugno in piazza del Duomo, ad Alba, nel 1838

LIBRI  «L’aspetto esterno d’Alba è malinconico, e quelle sue tante torri le danno un’aria di una quasi prigione, come il suo meschino ponte di barche sul Tanaro ci ricorda una città posta fuori delle grandi comunicazioni, e che non ha ancora sentita gran fatto l’influenza del progresso. Pare però che si pensi finalmente alla costruzione d’un ponte in pietra, giacché nelle pioggie autunnali la città trovasi frequentemente isolata». L’ecclesiastico monregalese Giuseppe Francesco Baruffi, professore di aritmetica e geometria presso il real collegio di San Francesco di Paola di Torino, poligrafo e divulgatore scientifico molto apprezzato nella sua epoca, nel periodo delle vacanze autunnali, che allora duravano quattro mesi, era solito compiere dei viaggi d’istruzione in Italia e all’estero, nel Nord Europa, in Egitto, in Turchia. Registrava accuratamente le sue impressioni, arricchendole di dati statistici e di commenti sui progressi tecnologici e sociali dei Paesi che visitava, per pubblicarle, infine, in una serie di volumi tra il 1840 e il 1861 con il titolo di Pellegrinazioni autunnali.

Nell’autunno del 1842, compie un viaggio da Torino alla sua Mondovì, visitando Bra, Sommariva Perno, Pollenzo, Alba e Savigliano, che descrive in forma di lettera indirizzata al sacerdote torinese Domenico Gallino (Pellegrinazioni autunnali ed opuscoli di G. F. Baruffi da Mondovì, Torino, Magnaghi, 1843).

Nella nostra città visita subito la raccolta privata dell’abate Sotteri, in cui vi erano numerosi cimeli naturalistici, archeologici e numismatici, «migliaja di monete» di quattordici zecche del Piemonte, quadri preziosi e una ricca biblioteca. Ha modo di vedere le tele di Macrino custodite nel Municipio, e di lì passare al duomo, che, secondo lui, non è notevole per la sua architettura. E, quindi, rileva che il «vescovado e l’ospedale mi parvero i due soli edifizi di un esterno un po’ appariscente. Ho però udito che la gran casa dell’ospedale non è ancora ultimata, e duole di vederne una parte destinata alle carceri pubbliche, le antiche essendo troppo anguste, sicché l’annesso ritiro delle povere figlie trovasi molto ristretto ed incomodo». L’ospedale aveva quaranta letti, e contava una rendita annua di trentamila franchi. Non dimentica di far visita al teatrino che era sito nella confraternita di San Giuseppe (era il teatro Perucca, il nuovo teatro Sociale si costruirà nel 1855) e l’accademia filarmonica. Era giunto a Bra in giorno di mercato e aveva trovato la città «lieta ed attiva» al punto di esservi attraversata a stento, ad Alba, invece, «il fatto che più accora il forestiero è la quasi totale mancanza di commercio e d’industria che vedesi (…) benché i così detti crocioni ed i torroni godano di una quasi celebrità gastronomica in Piemonte». La provincia d’Alba aveva allora un cronico problema di viabilità che stentava a risolversi (altri tempi!) nonostante – avvertiva Baruffi scandalizzato – pagasse al Governo due milioni di franchi di contribuzione.

Il nuovo ponte sul Tanaro iniziato nel 1847, il miglioramento della strada di collegamento tra Alba e Savona, la ferrovia dopo alcuni decenni, i progressi dell’agricoltura e dell’industria vinicola contribuiranno gradualmente a far dimenticare il clima di depressione che aveva colto nella nostra città lo scienziato monregalese nel 1842. Restano sconcertanti e attuali, tuttavia, alcune puntuali osservazioni che ritroviamo leggendo il resoconto del suo viaggio.

Luciano Cordero

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