Maria Teresa Novara, storia di un omicidio

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L’INTERVISTA Al caso della ragazzina rapita alla fine degli anni Sessanta e morta a cascina Barbisa di Canale Stefano Cattaneo dedica un libro, che inserisce nuovi indizi contro chi ne causò l’asfissia.

Cattaneo, lei è lombardo,Marilina Rachel Veca romana: com’è nato in voi l’interesse per questa vicenda molto piemontese?

Maria Teresa Novara, storia di un omicidio
Stefano Cattaneo

«Il tutto ha avuto genesi quando lessi un articolo di Famiglia Cristiana riguardante il ritrovamento del corpo di Maria Teresa. Si trattava di un buon articolo, ma arrivava a una conclusione che mi aveva indignato; una ragazzina si era prostituita, traviata dai giornaletti pornografici ritrovati nel cunicolo in cui era stata rinchiusa e dov’era morta. Ma una fanciulla prigioniera può avere libertà di scelta?».

Eravamo alla fine degli anni Sessanta e lei era un ragazzino. Come ha ripreso interesse alla vicenda oggi?

«Negli anni Novanta lessi, sempre su Famiglia Cristiana, la recensione di un libro riguardante la vicenda, pubblicato da Lorenzo Rosso. Appresi così la seconda parte del fatto: quanti avevano abusato di Maria Teresa, la lasciarono morire. Infatti, pur sapendo che era rinchiusa senza possibilità di ricevere alimenti, a causa della morte del suo carceriere annegato nel Po per sfuggire ai Carabinieri, tacquero. Pensai comunque che con quella pubblicazione si fossero chiariti tutti i retroscena».

Invece?

«Passarono molti anni, mi appassionai a Internet e, avendo una certa passione letteraria, mi iscrissi a un paio di siti; non avendo dimenticato la sfortunata bambina che non aveva avuto giustizia, su Alidicarta e Scrivendo pubblicai una breve cronistoria. Suscitai vivo interesse e pensai di suggerire agli amici lettori di scrivere a Silvio Beoletto, allora sindaco di Canale, di dedicare a Maria Teresa una via. Intanto, ci fu una trasmissione televisiva sul caso: migliaia di persone lessero il mio testo. Fra esse la scrittrice Marilina Rachel Veca, che lasciò un commento. La contattai, suggerendole di scrivere un libro. Lei acconsentì a patto che collaborassi».

Così nacque il vostro primo volume sul caso, La testa dell’idra?

«Avendo ancora poche informazioni scegliemmo la forma del romanzo, ambientando la vicenda in un’immaginaria Pieve di San Tomà».

E, poi, che cosa accadde?

«Fummo contattati da varie persone dei luoghi di Maria Teresa: molte ci espressero il ringraziamento per non aver lasciato cadere nell’oblio la vicenda, altre fornirono una testimonianza».

Siete arrivati a risolvere il caso?

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Marilina Rachel Veca

«La maggior parte delle notizie le apprendemmo da Mario Bozzola, il procuratore che aveva svolto l’inchiesta, e Marco Viada, storico dei Carabinieri che aveva partecipato alle indagini. Infine, fummo contattati da Francesco Chiara, sindaco di Cortazzone, e da Manlio Remondino, assessore del paese, i quali, oltre a mostrare un grande interesse, ci misero a conoscenza di voci secondo le quali l’omicidio del loro parroco, avvenuto nel 1990, poteva essere collegato al caso di Maria Teresa».

Così nacque Vita di un parroco, Storia di un’epoca?

«Pur non essendo riusciti a trovare prove, alcune stranezze legavano le due vicende, inoltre la storia di don Guglielmo Alessio era molto interessante. Abbiamo perciò scritto una biografia inserendola nella storia dell’Italia contadina, industriale e post-industriale che ha accompagnato la vita di questo santo sacerdote. Autrice con noi è stata la poetessa triestina Marina Assanti, che ci ha dato supporto anche per l’ultimo libro».

Che cosa non si conosceva ancora della storia della bambina morta a Canale?

«Quasi tutto. Abbiamo cercato sul posto, parlato con chi sapeva o poteva sapere, fra i quali anche Giovanni, fratello di Maria Teresa, Ernesto, suo cugino, e Tarcisia, sua zia, ai quali va il nostro ringraziamento. Infine, siamo riusciti a trovare Luciano Rosso, complice di Bartolomeo Calleri, il rapitore di Maria Teresa, in quel furto che li portò a gettarsi nel Po per sfuggire alle forze dell’ordine. Arrestato sulla sponda opposta Rosso fu accusato di complicità anche nel rapimento e per questo condannato a tredici anni di carcere».

Rosso vi ha fatto qualche rivelazione?

«Luciano Rosso ha ripetuto la sua innocenza, ma ci ha raccontato particolari che all’epoca aveva taciuto».

Ad esempio?

«Calleri non aveva rapito Maria Teresa con l’intenzione di venderla. Decise di farlo quando un gruppo di cacciatori, a suo dire persone altolocate, scoprirono oltre il muro della prigione i bigliettini lanciati dalla ragazzina per chiedere soccorso. Calleri venne a un compromesso con queste persone e costrinse la ragazzina a prostituirsi. Rosso è certo anche che siano stati questi figuri a rinchiuderla nel cunicolo e, dopo alcuni giorni di incertezza legati alla morte per annegamento di Calleri, a far occludere i tubi dell’aria per ucciderla».

Un omicidio, dunque?

«Un omicidio volontario premeditato con l’aggravante della crudeltà, reato che non cade in prescrizione. Abbiamo fatto presente la cosa al Tribunale di Asti».

Che cosa vuole ora?

«Il Tribunale deciderà cosa fare. Io spero che qualcuno chieda perdono».

Maria Grazia Olivero

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