Con Paolo Tibaldi scopriamo le origini del termine “Vija”

Paolo Tibaldi ci racconta aneddoti le

ABITARE IL PIEMONTESE

Vijà: veglia, assistenza notturna di tradizione popolare

Se esiste una parola piemontese che racchiuda in sé un’epoca, un modo di vivere, ecco che è proprio la parola di questa settimana: “vijà”. Di quasi facile intuizione, significa veglia e arriva chiaramente dal verbo “vijé” – “vegliare”, ovvero star desti in compagnia di altre persone per proteggere o assistere una persona ammalata, un animale che dovrà partorire durante la notte; attendere l’acqua dall’acquedotto per irrigare i campi, assistere un defunto con alcune preghiere, anche soltanto andare a trovare una persona cara e trascorrere il tempo con essa; insomma, “vijè” è ciò che si fa durante l’attesa per cui si deve restar svegli.

E che cosa si fa in quest’attesa? Poesie, racconti, canti, corteggiamenti, preghiere, giochi, lavoretti… Dopo aver usato tutte le braci per mettere il “frà” nei letti e la stufa era spenta, alcuni giocavano a carte, le donne ricamavano o sferruzzavano, qualcuno costruiva ceste, scope o riparava attrezzi; altri, magari, si dilettavano suonando strumenti dando modo di cantare a chi aveva piacere di sfogarsi così; la veglia pareva avere un canovaccio tacito che culminava, per dare una nota sensazionale, con suggestivi racconti di masche che destavano tanto interesse quanto spavento.

Vijé era l’unico atteso diversivo che univa le persone al di fuori delle interminabili giornate lavorative. L’avvento della televisione, di quella televisione, pare essere la più attendibile causa della fine delle vijà. Oggi sì, la televisione potrebbe davvero aver preso il posto della stalla, più che della vijà. Certo, la nota nostalgica suona quanto meno facile, ma non lasciatevi prendere da sentimenti negativi. È piuttosto bello ricordare col sorriso e pensare a come oggi si sia trasformata, evoluta e stia continuando a vivere sotto qualche altra forma, la vijà, magari altrettanto romantica: noi stessi possiamo esserne gli artefici in queste notti agostane.

Paolo Tibaldi

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