Antonio Lombardo ricorda l’amico ed ex partigiano Elia Somenzi

Addio all'ex partigiano Elia Somenzi, uomo integerrimo 1
Da sinistra: Elia Somenzi e Antonio Lombardo
LUTTO  
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo che ci ha inviato Antonio Lombardo, nostro lettore di Lequio Berria, in memoria di Elia Somenzi, nel giorno dopo la sua morte.

Quando muore un partigiano come Elia Somenzi muore sì un uomo giusto, ma con lui muore un intero mondo. Classe 1928, mi toccò la spalla quel 2 marzo del 2009 al funerale del Comandante Paolo Farinetti della “Matteotti” di Alba. Portavo al collo i colori della Resistenza spagnola, il fazzoletto rosso e nero della Cnt, delle milizie aragonesi e catalane dei  Rosselli e di Berneri;  lui ha riconosciuto quei colori, lui sapeva . Da quel momento non ci lasciammo più, aveva  conosciuto il fascismo nella sua forma più logica e coerente, quello di Salò, quello della selezione del genere umano. Slavi, zingari ed ebrei dal settembre 1943 fino ai primi giorni di maggio del 1945 dovevano essere schedati, concentrati in campi  e deportati. Dovevano essere sterminati.

Le corse in camion e a piedi, verso la Svizzera

Figlio di Ermanno, responsabile della qualità delle Filande del Nord Est dell’Italia, che aveva a disposizione camion per il trasporto dei prodotti di filanda, dei rotoli di seta lavorati, come dei sacchi degli scarti, forse Elia a 16 anni non capiva quell’ordine di suo padre di aspettare i camion nei pressi di Ponte Tresa, al confine varesino con la Svizzera, vedeva uscire dai cassoni interni 3 , 4 al massimo 5 persone nascoste lì  sotto, tre almeno dovevano essere bambini, minuti come lui o anche più piccoli. Doveva accompagnarli alla frontiera con la Svizzera, il nonno a suo tempo gli aveva fatto conoscere i sentieri dei contrabbandieri, i vecchi tragitti e bunker della grande guerra, ma stavolta non era un gioco.  Il Tresa ad un certo punto si allargava, potevi bagnarti i piedi, i bimbi si bagnavano le gambette, ma ce la facevi. Oltre, la Svizzera. Fino alla primavera del 1944 Elia obbediva a suo padre, che era d’accordo con quel parroco dell’Isola di Milano, don Eugenio Bussa, oggi riconosciuto Giusto tra le Nazioni.

Entrò poi nella Resistenza dell’Alto Milanese, nelle formazioni di Alfredo Di Dio, Brigata Treviglio, che era il suo paese natale. Aveva portato con sé quegli anarchici arrestati con lui a Milano e coi quali era riuscito a fuggire grazie ad alcuni carabinieri non venduti ai fascisti. Si fidava di pochi. Diceva che una formazione troppo ampia avrebbe certamente avuto delle spie ed agivano come deve agire una Resistenza , con azioni dirette e  ritiro immediato. Aveva motivi per combattere, profondamente umani perché aveva visto coi suoi occhi tante persone destinate allo sterminio o uccise, solo perché ebree. Come Sara, di soli 13 anni, quante Sara  aveva da vendicare Elia. A 16 anni avrebbe voluto far fuori tutti quanti per 5mila lire vendevano l’anima ed il vicino di casa solo perché ebreo.

Elia aveva visto la Liberazione come speranza, come  svolta  radicale dalle schifezze del fascismo e del nazismo. Oggi si sentiva responsabile della testimonianza, doveva testimoniare non solo della Resistenza, ma anche di quanti corpi erano rimasti tra le ceneri di Auschwitz, di Mauthausen, di Buchenwald, dai massacri di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, perché ci sono i fascisti che aspettano la morte dei testimoni per dire che quello che è successo non è successo.

Se perdiamo questa memoria siamo condannati a rivivere la storia

Elia aveva sviluppato un antifascismo intransigente, etico,  coerente , egli non poteva perdonare, perché chi poteva perdonare i carnefici era già morto e nessuno può perdonare a nome di un altro e nessuno può perdonare se nemmeno il perdono è richiesto, e nessuno può perdonare senza che sia detta la verità su un massacro. Nel 2012 aveva rilasciato una intervista pubblicata sulla rivista Nunatak, che noi anarchici  pubblichiamo a Cuneo da anni e si era abbonato al settimanale anarchico Umanità Nova, proprio in nome di questo antifascismo intransigente e non disponibile  al revisionismo storico.
Era felice e nello stesso tempo preoccupato di incontrare i giovani delle scuole, di parlare pubblicamente, di raccontare. Ha girato la provincia di Cuneo incontrando scuole di ogni grado, portando solidarietà a quegli antifascisti accusati di antifascismo per essersi opposti all’apertura di una sede neonazista a Cuneo, Città Medaglia d’Oro per la Lotta di Liberazione, ai cittadini No Tav della Val Susa. Ha lavorato con la scuola Vida  di Alba ad un video sulla Shoah ed ancora stava preparando due interventi . Uno sulla filiera del baco da seta, ricordando il lavoro di suo padre, e uno sulla memoria per il prossimo 27 gennaio dal titolo Il ricordo di Sara.  Centinaia sono stati i contatti, le corrispondenze, le telefonate, le interviste, i ricordi.   Quando ci siamo sentiti per i 90 anni di Sacco e Vanzetti, stava preparando il lavoro con la scuola Vida, contento che erano venuti studenti a prospettargli nuovi appuntamenti. Ed era preoccupato per lo stesso importante motivo della sua contentezza. Così Elia rimane. Pace a te Elia, che la terra ti sia lieve  mio amico e compagno.

Antonio Lombardo

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