Il Piemonte vinicolo viaggia a due velocità

Vendemmia: un finale in crescendo

ANALISI Terminata la raccolta delle uve, lasciamo da parte gli aspetti qualitativi dell’annata e proviamo a fare alcune considerazioni di tipo economico con Gian Luigi Biestro, direttore della Vignaioli piemontesi, il cui punto di osservazione permette di ragionare in ottica regionale. Le domande che potremmo farci sono queste. L’annata 2017, con i suoi caratteri estremi, a chi regalerà i maggiori vantaggi? Ai viticoltori che vendono le uve, a quelli che se le vinificano, oppure a commercianti e industriali? E ancora: i confronti tra le categorie della filiera quali riflessi avranno sul consumatore? È probabile che berrà bene, ma a quale costo?

L’analisi di Biestro è molto lucida: «Dal punto di vista produttivo, probabilmente la vigna ha consegnato qualche risparmio: i trattamenti antiparassitari (soprattutto contro la peronospora) si sono ridotti rispetto a un’annata media e questo può aver dato qualche vantaggio, oltre a limitare l’impatto ambientale. Dal punto di vista agronomico, un’annata già meno fertile in partenza ha richiesto minori interventi nei diradamenti e nelle sfogliature, tenendo anche conto che il clima siccitoso lasciava presagire una produzione più contenuta».

Due elementi potrebbero influenzare i risultati economici dell’annata: la minore produzione e il possibile incremento dei prezzi delle uve. Sono poche le vigne e i vitigni che sembrano aver dato produzioni quantitativamente in linea con le ultime annate: in molti casi i dati hanno portato riduzioni del 15-20% se non addirittura superiori. La produzione contenuta, abbinata al trend di mercato che (a parte poche eccezioni) continua a veleggiare con il vento in poppa, potrebbe aver incrementato i prezzi delle uve. Ma di quanto? Dello stretto necessario per pareggiare i bilanci delle aziende oppure di percentuali superiori?

Risponde Biestro: «Al momento non abbiamo dati ufficiali. Sappiamo che la Camera di commercio di Cuneo vorrebbe ripristinare le sue rilevazioni e riproporre in chiave moderna i cosiddetti mercuriali. Però, osservando la situazione del Piemonte intero, vediamo che esso viaggia a due velocità: da un lato ci sono Langa e Roero, dove la definizione dei prezzi delle uve non è più un fatto cruciale, ma di anno in anno ci sono i giusti adeguamenti per dare alle varie categorie un adeguato apporto economico, senza stravolgere il mercato. Dall’altro, c’è il Monferrato, dove l’equilibrio non si è ancora raggiunto e basta un evento produttivo come il 2017 per provocare incrementi esagerati dei prezzi, con valutazioni che nei prossimi anni potrebbero non essere confermate. Sintomatico è il caso delle uve Cortese: nel 2016 erano quotate 40 centesimi al chilogrammo e quest’anno hanno addirittura raddoppiato il loro costo. In queste situazioni, non è tutto frutto di dinamiche interne al settore, ma potrebbero esserci interferenze esterne che hanno destabilizzato ancora di più la situazione».

Volendo sintetizzare, dove la spinta sui prezzi nella singola annata è minore, vuol dire che la filiera ha trovato nel tempo un suo equilibrio, mentre dove le spinte (in alto come in basso) dei prezzi sono più consistenti e repentine significa che l’equilibrio tra le parti è di là da venire.

Conclude Biestro: «C’è un dato inconfutabile. In Piemonte, per quanto concerne le denominazioni di origine, nessun vino può e deve scendere al di sotto di un euro al litro in valore, perché questa è la soglia minima che consente ai viticoltori di mantenere in forma i loro vigneti. Sopra questo prezzo, i giovani rimangono in viticoltura, al di sotto se ne vanno. In Langa e Roero questa situazione è oramai consolidata, nel Monferrato non ancora».

Giancarlo Montaldo

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