Barolo irregolare? Il presidente del Consorzio patteggia quattro mesi

Joe Bastianich testimonial del Barolo 2012 2

BAROLO Quattro mesi di reclusione con la condizionale per tentata frode in commercio e falso. È questa la pena patteggiata dal presidente del Consorzio di tutela del Barolo, Orlando Pecchenino e per il fratello Attilio.

La sentenza è stata emessa dal gip del Tribunale di Asti, Federico Belli.

Complicata la vicenda ricostruita dal nostro Giancarlo Montaldo nel 2016

Ci sono fatti che, fino a quando non sono del tutto accertati, sarebbe meglio non divulgare per non creare confusione e procurare disagio a persone o aziende che non lo meritano. Spesso, però, basta un’indiscrezione e bisogna scrivere. È questa la considerazione che mi è venuta in mente quando ho saputo che Orlando Pecchenino, produttore a Dogliani e dintorni e da pochi mesi presidente del consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, a seguito di un controllo da parte dei Nas, avrebbe ricevuto la contestazione per aver svolto operazioni di vinificazione di Nebbiolo da Barolo dell’annata 2015 fuori dalla zona di origine del vino stesso. Sono due le ragioni del disagio: la grande serietà professionale dell’azienda e il fatto che si tratta solo di una contestazione, non ancora comprovata. A quanto pare tutto sarebbe partito da una denuncia presentata in una stazione dei Carabinieri e con tanto di firma. Quindi, il controllo è un atto dovuto.

Per spiegare la situazione occorre fare un paio di considerazioni. La prima è che il Disciplinare del Barolo stabilisce che le operazioni di vinificazione e invecchiamento obbligatorio siano svolte nella zona di origine delle uve. A questa regola ci sono due deroghe: la prima riguarda le aziende storiche che hanno maturato il carattere della tradizione, purché si trovino in alcuni paesi delle province di Cuneo, Asti e Alessandria; la seconda riguarda le aziende con la cantina nei Comuni della zona di origine, ma al di fuori della zona del Barolo (8 su 11 paesi non hanno l’intero territorio in zona). Queste possono vinificare le uve Nebbiolo nelle loro cantine, se dispongono a vario titolo di vigneti nella zona del Barolo e con contratti di più anni.

La seconda considerazione è che Orlando Pecchenino è titolare con il fratello Attilio di un’azienda vitivinicola con vigneti e cantina a Dogliani, ma da tempo ha acquisito terreni e cantina anche nella zona del Barolo, a Monforte, a poca distanza dal centro aziendale doglianese. E l’azienda si è sempre distinta per il rigore produttivo e la qualità dei vini.

Sorge spontanea una domanda: si voleva colpire Pecchenino come azienda o Pecchenino come presidente del consorzio? Non sarebbe il primo caso. Già nel passato altri presidenti del consorzio hanno avuto visite ispettive non di routine.  In base a queste premesse, c’è qualcosa che non torna. Perché un’azienda seria e meticolosa come la Pecchenino avrebbe dovuto così superficialmente contravvenire al Disciplinare del Barolo? Non ci pare verosimile. Non ne aveva le ragioni, né sostanziali né formali: dispone a Monforte, nella zona del Barolo, di locali e recipienti idonei a svolgere le attività oggetto della contestazione. Ma, ammettendo che sia vero, viene da chiedersi cosa possa essere capitato: un errore da parte di un dipendente o di uno dei titolari? Si sa, in vendemmia, si lavora sempre sotto stress. Oppure solo un errore di registrazione? Può capitare.

Quello che ci piacerebbe sapere è da chi proviene la denuncia. Certamente, ciò che ci sentiamo di escludere è che l’azienda abbia sbagliato in modo consapevole. Non è nel suo Dna e nemmeno in quello dei suoi titolari.

E adesso, cosa potrebbe accadere? Al massimo, un declassamento del vino, la cui qualità non è in discussione. Non cambierebbe nulla nella credibilità aziendale. Al di là del danno economico, ci sarebbe solo un “Barolo mancato”. Cui prodest?

Giancarlo Montaldo

 

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