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Bevevo per darmi forza invece precipitavo di più

LA STORIA Quello che gli altri da fuori vedevano di Ismaele – si fa chiamare così in questa storia – era un ragazzo con il cuore spezzato da una donna. Dentro di lui c’era invece molto di più.

Prima del 2013 la sua vita procedeva, dice lui, «con levità: tutto pareva leggero, semplice, lineare»: un lavoro da milleseicento euro netti al mese, una fidanzata adorabile, la famiglia d’origine che gli voleva bene e gli aveva sempre dedicato un posto speciale nella piramide degli affetti e delle attenzioni.

Con la fidanzata Ismaele viveva in un appartamento in corso Piave. Riusciva a fare due vacanze l’anno e nel 2014 aveva acquistato una macchina agile, potente. Tutto funzionava, insomma.

Ismaele: «Un giorno, però, tornato a casa, mi ritrovai solo. La mia ragazza mi aveva lasciato. Sebbene nella vita avessi affrontato qualcosa di simile, la mancanza di un significato comprensibile nel gesto mi lasciò prostrato, schiacciato da un dolore sordo, che non sapevo nominare. Cominciai a percepire ansia crescente. Il medico diagnosticò un disturbo da attacchi di panico, ma ero convinto che il verdetto fosse stato frettoloso. Ciò che sentivo era una sorta di vuoto, uno spezzamento. Rimanevo sul divano tutto il giorno, non uscivo con gli amici. Il solo medicamento che leniva un poco quella sofferenza era il vino».

Ismaele cominciò a bere due bicchieri a pranzo e due a cena, che dopo una settimana si trasformarono in una bottiglia, poi in due. «Sebbene l’effetto fosse effimero, il vino mi faceva tornare il sorriso. Uscivo e stavo con gli amici, tornavo a divertirmi. Era un medicamento senza il quale sarei crollato. Ma l’effetto svaniva e dovevo bere di più. Smisi una sera, quando svenni per il troppo vino e mi ritrovai coricato nella neve. Rimasi al freddo per due ore, quasi assideravo. Toccare il fondo mi fece rinsavire, ma so che ogni giorno migliaia di persone vivono l’incubo che mi aveva catturato, nonostante mi sentissi invulnerabile».

Matteo Viberti

Bevevo per darmi forza invece precipitavo di più

Quasi 27 pazienti al mese nell’Asl di Alba-Bra

I NUMERI  I pazienti alcolisti in carico al Servizio dipendenze (Serd) dell’Asl Cn2 di Alba-Bra erano 268 da gennaio a ottobre 2017. Significa che la media è di quasi 27 pazienti al mese e il numero, se osservato in prospettiva temporale, risulta in progressiva crescita, poiché ammontava a 228 nel 2014, a 235 nel 2015 e a 261 nel 2016.

Le ragioni che spiegano la crescita sono multifattoriali, ma possono essere associate all’inasprimento delle condizioni socio-economiche del territorio che, sebbene nel complesso sembrino migliorare, continuano a penalizzare le fasce più vulnerabili.

Nel dettaglio, il numero di pazienti alcolisti nel 2016 erano in misura maggiore maschi (192, contro 69 femmine). Del totale solo uno era minorenne, mentre 16 pazienti appartenevano alla fascia d’età compresa tra i 20 e i 29 anni, 40 erano in quella tra i 30 e i 39, 89 erano tra i 40 e i 49 anni, 77 tra i 50 e i 59 anni e i restanti 38 pazienti avevano più di 60 anni. Sembra dunque che le aree più vulnerabili all’innesco di dipendenze da alcol siano quelle tardive e dell’età adulta. Anche in questo caso le ragioni possono essere molteplici, correlabili pure con l’incremento delle separazioni e dei divorzi rispetto al passato, alla paura sociale, ai casi di disoccupazione, allo sfaldamento del sistema dei valori tradizionali e, non ultimo, alla maggiore efficienza dei servizi di prevenzione e cura che intervengono in aree fino a poco tempo fa trascurate.

m.v.

Sacchetto (Serd): «La cultura del buon vino protegge dalla dipendenza»

L’INTERVISTA Giuseppe Sacchetto è il direttore del Servizio dipendenze patologiche (Serd) dell’Asl Cn2.

Il numero di pazienti in carico al Serd dell’Asl di Alba-Bra risulta in incremento. Qual è la ragione? Quali sono le motivazioni profonde che generano una dipendenza nella persona, Sacchetto?

«L’incremento della casistica rientra in una fisiologica fluttuazione dell’utenza. Il fenomeno della dipendenza da alcolici nella platea dei nostri pazienti presenta caratteristiche diverse: può avere finalità “farmacologiche” (ad esempio, per contrastare la depressione) o prestazionali: può essere cioè utilizzato per migliorare la propria performance relazionale, come facilitatore dei rapporti sociali (per superare la timidezza) o come sostanza psicotropa in grado di modificare e potenziare l’effetto di altre droghe. Insieme a questi fattori non dimenticherei l’effetto del contesto in cui viviamo: la pubblicità per gli alcolici attraverso i media vale un budget di 300 milioni di euro l’anno».

Il contesto locale è caratterizzato dall’associazione di un valore culturale al bere. Il vino nello scenario collettivo viene associato a pratiche di educazione e formazione, di accettabilità sociale e di esperienza sensoriale. È così?

«La cultura del bere e l’enogastronomia sono fonte di ricchezza: i brand di certi vini assurgono a status symbol e questo incide non solo sui consumatori, ma anche sugli operatori sanitari negli interventi di prevenzione, rendendoli più tolleranti rispetto ai danni da alcol».

Dunque, la nostra cultura del vino rende più vulnerabili?

«Non direi. Il contesto albese, proprio perché caratterizzato da un bere qualitativo, a pasto, di tipo mediterraneo, legato a tradizioni culturali inveterate, facilita un avvicinamento più progressivo al consumo alcolico. Per quanto riguarda i giovani spesso questo approccio è accompagnato da tutor adulti, che garantiscono l’associazione tra consumo, aspetti educativi e limiti. Rispetto al bere anglosassone, la cui iniziazione avviene più spesso tra pari età e quindi include elementi competitivi e di trasgressione, la metodologia locale appare più protettiva. A dimostrazione di questo fatto, c’è il dato dell’indagine di sorveglianza “Passi”, relativa al consumo alcolico a maggior rischio: nella nostra zona c’è una incidenza tra le più basse dell’intero Piemonte. Quanto alla politica non mi esprimo, limitandomi a osservare che lo Stato si garantisce introiti economici attraverso il monopolio degli alcolici».

Perché la maggioranza dei pazienti in carico al Serd di Alba- Bra è adulta?

«L’epidemiologia locale si accorda con il dato nazionale, che vede una maggior percentuale di consumatori in quella fascia anagrafica. Va osservato che le età intermedie incrociano facilmente due modelli del bere: quello mediterraneo, alimentare e a pasto, con quello nordico, concentrato su bevute consistenti (il cosiddetto binge drinking) fuori pasto e nel fine settimana, con astensione negli altri giorni».

Matteo Viberti

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Il grido di don Luigi Ciotti: la politica dimentica i giovani e pure le famiglie

Entriamo in una grande fabbrica di corso Trapani, a Torino, ristrutturata  dal gruppo Abele, fondato da don Luigi Ciotti.  Qui si parla di alcolismo attraverso l’indagine realizzata a favore dell’associazione Aliseo dal dipartimento di psicologia della Università di Torino.

Parla la docente torinese Cristina Mosso: «I giovani piemontesi bevono fuori dai pasti birra e aperitivi alcolici. Riferiscono inoltre di fare ogni tanto le cosiddette abbuffate alcoliche (più di sei unità per volta). Consumano alcol spesso in compagnia, in casa o nei luoghi del loro divertimento, con la convinzione che il bere faccia stare meglio, sentire meno le emozioni negative e possa persino migliorare le prestazioni generali della persona».

In effetti, gli accessi al pronto soccorso dell’ospedale Mauriziano di Torino nel 2016 parlano di ottocento ricoveri per abuso di alcol, trecento dei quali per under 30, il 35% donne. Don Luigi Ciotti ha scandito durante l’incontro: «Con la ragione della mancanza di fondi, nel nostro povero Paese  si stanno mettendo in serio rischio e danno le future generazioni. Se in Europa la media dell’investimento per l’infanzia e per le famiglie si stima attorno al 9%, in Italia è la metà, mentre i finanziamenti per fronteggiare l’esclusione sociale sono ridotti allo 0,7% contro una media Ue dell’1,9. Questa volta, la nostra capacità d’inventarci di tutto per sostenere percorsi di prevenzione, educazione e tutela della salute non pare bastare. Abbiamo bisogno delle giuste risorse. E della dovuta attenzione da parte della politica».

m.v.

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