LAVORO Secondo Confartigianato, la concorrenza sleale incide in Piemonte per il 65 per cento. Nella sinistra Tanaro la percentuale cala
In Piemonte il 65,8% delle imprese artigiane è esposto al fenomeno dell’abusivismo. Ovvero subisce la concorrenza sleale di finti idraulici, imbianchini, acconciatori, autoriparatori, impiantisti che non pagano tasse né contributi e lavorano senza autorizzazioni.
Ad annunciarlo, nei giorni scorsi, è stata Confartigianato, calcolando come, in Italia, oltre un milione di irregolari insidino l’attività di quasi 900mila imprese artigiane, il Piemonte sia l’ottava regione più colpita dalla concorrenza sleale e, a livello provinciale, Cuneo conti il 65,1 per cento di abusivismo, un po’ meglio di Asti, che raggiunge il 65,6 per cento.
E nel Roero? Le 2.686 imprese artigiane della sinistra Tanaro quanto sono esposte a questo pericolo? Lo abbiamo chiesto al presidente zonale di Confartigianato, Domenico Visca, secondo il quale, nell’area compresa tra Albese, Astigiano e Torinese si sta meglio che altrove. «Nella sinistra Tanaro, la percentuale di abusivi scende al 40-50 per cento», afferma Visca, che continua, analizzando: «Nella nostra zona il lavoro nero esiste; non è facile da controllare e riguarda soprattutto il settore dell’edilizia. Come associazione artigiani aiutiamo chi ha la necessità di mettersi in regola. Cerchiamo di limitare l’abusivismo sul lavoro in tutte le categorie e invitiamo i Comuni a segnalare alle autorità preposte eventuali abusi, pur senza effettuare una vera e propria denuncia, soprattutto per tutelare chi lavora onestamente».
Franco Murru, canalese, titolare con i figli di un’impresa edile dal 1975 e fiduciario comunale per Confartigianato Cuneo nella zona di Alba, conferma: «Negli ultimi dieci anni, quando la crisi economica ha iniziato a mordere, il settore dell’edilizia ha perso il 30-40 per cento di aziende con manovalanza (artigiani con due o tre operai). A causa del lavoro nero le imprese strutturate sono andate in difficoltà; ci sono costi fissi enormi da sostenere, quindi si dà fondo alle proprie risorse, ai risparmi di una vita, ma questi prima o poi finiscono».
E non sono mancati i casi in cui piccoli artigiani dell’indotto edilizio, come idraulici, impiantisti o elettricisti, sono falliti in seguito al tracollo di grandi imprese.
Ancora una volta, la rete familiare rappresenta un salvagente. Murru chiarisce: «Riesce a mantenere un lavoro decente chi possiede un’impresa di famiglia, nella quale molti soggetti sono disposti a fare sacrifici, per concorrere alla salvezza comune, ma le aziende di giovani sono in crisi». Amara la conclusione di Visca: «Le banche non danno garanzie e dei segnali di ripresa, tanto annunciati da ormai due anni, non c’è traccia».
e.c.