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Perché un uomo rozzo in piemontese si definisce Baròt? Scopriamolo

Paolo Tibaldi ci racconta aneddoti le

Baròt: Robusto bastone, randello in legno; oppure uomo di campagna all’antica, talvolta rozzo e villano.

Qualcuno, con un piemontesismo, lo chiama “orgoglio barotto” per sottolineare il fatto di sentirsi a proprio agio in contesti sociali o paesani ostentando atteggiamenti sgraziati o genuini, tendenti al grezzo, ma pur sempre disinibiti: una persona che “si spezza ma non si piega”, proprio come un bastone di legno dalla notevole consistenza, non troppo lavorato, certamente nodoso e magari un po’ ricurvo. Quello stesso bastone che si utilizza per la fatidica barotà ‘nsȓa testa (bastonata sul capo), poco pedagogica ma di certa efficacia per esprimere un concretissimo rimprovero.

Volendogli dare una definizione che connoti le caratteristiche del bastone, vien da pensa che il baròt, in fondo, sia una persona soltanto un po’ all’antica, non al passo con i tempi forse perché assuefatto dal lavoro, dalla solitudine e da una routine rurale che talvolta gli impedisce di uscire fisicamente e mentalmente dalla sua proprietà privata agricola. Appellare una persona con baròt (baròta al femminile), risulta quindi una metafora che riporta a pregi o virtù di quel bastone in legno.

Quando però, alla desinenza si aggiunge un dispregiativo, allora siamo certi che barotàss non si tratti certo di un complimento ma, al contrario, si voglia apostrofare qualcuno di poco aggraziato, burbero, impenetrabile nelle idee, dai modi di fare rozzi con delle movenze e un linguaggio che non tengono conto delle circostanze.

Eppure quel baròt di legno, c’è chi lo usa come sostegno per lunghe camminate, chi lo adopera per dominare gli spostamenti del bestiame da allevamento, oppure chi lo utilizza per andare a cercare tartufi. Sarà per questo che, in quel di Roddi vi era il trifolao Antonio Monchiero, soprannominato proprio baròt, probabilmente nella sua accezione più regale. Quest’uomo oltre ad andare per tartufi, addestrava i cani affinché trovassero tartufi, tanto che qualcuno lo ha anche definito “Magnifico Rettore” dell’Università dei cani da tartufo.

Paolo Tibaldi

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