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Don Sciortino: «Più facile trovare un nemico a buon mercato che affrontare i veri problemi»

Don Sciortino: «Più facile trovare un nemico a buon mercato che affrontare i veri problemi»

DON SCIORTINO L’ex direttore di “Famiglia cristiana”e attuale direttore di “Vita pastorale”Don Antonio Sciortino, mediante uno scritto inviato alla nostra redazione, riflette sull’attuale situazione politica e sulle proposte del neo ministro degli interni Matteo Salvini.

La riflessione di don Sciortino.

Ci risiamo. Dopo i migranti tocca ai rom. Il giochino è vecchio: ci vuole sempre un “nemico” per tenere alta la tensione.

E anche per distrarre la gente dai veri problemi, che restano insoluti. Già un altro rappresentante dello stesso partito, anch’egli ministro dell’interno, ci aveva provato anni fa. Voleva prendere le impronte digitali
dei bambini rom.

Voleva, insomma, schedarli. Censirli su base etnica. Come oggi vorrebbe fare il suo successore allo stesso ministero. E non basta attutire l’impatto mediatico sostituendo la parola “censimento” con “controllo”, “verifica”, “monitoraggio”. Pura ipocrisia. La sostanza è la stessa. Eppure cascano nell’inganno
gli stessi alleati pentastellati. Pronti a giustificarlo con un’acrobazia di ragionamenti
degna di miglior causa.

Don Antonio Sciortino
Don Antonio Sciortino

Purtroppo, il “pugno duro” e la voce “grossa” generano consensi. Qualunque sia il tema in ballo. E, quindi, fiato alle trombe mediatiche. Così si stordiscono gli italiani.

Allora, col suo predecessore al ministero, la reazione fu molto dura. E venne da più parti. Il settimanale Famiglia cristiana la definì “indecente”. E aggiunse: “Avremmo dato credito al ministro se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi che condividono con i topi. Che aiuti ha previsto? Nulla”. Oggi, c’è meno reazione. Tacciono le voci critiche. Latitano gli uomini di pensiero. Non c’è sufficiente forza di indignazione. Sembra prevalere la rassegnazione. Ormai, ci siamo assuefatti a tutto. Nell’attesa della prossima bordata.

I nomadi, oggi, non sono un’emergenza. Anche se qualche problema lo pongono. E, soprattutto, non sono l’emergenza di questo Paese. Sono altre le priorità. Anche se affrontarli porta meno consensi elettorali. Il caso più lampante è quello dello ius soli, cioè della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri.

Nobile causa, abbandonata solo perché impopolare. Anche dagli stessi che l’avevano promossa, facendone una bandiera. Il problema dei rom è molto limitato. I dati sono chiari: sei nomadi su sette vivono in normali abitazioni, lavorano e pagano le tasse. Sono già conosciuti all’anagrafe, come il resto della popolazione. Sono anch’essi italiani, nostri connazionali. Sebbene il ministro dell’interno, con cinismo, abbia detto: “I rom italiani, purtroppo, te li devi tenere a casa!”.

Se poi l’intento di questa singolare iniziativa verso i rom è quello della legalità e della tutela di “quei poveri bambini educati al furto”, riportandoli a scuola, forse va ricordato al ministro che, nel Paese, c’è una dispersione scolastica molto ben più vasta. Soprattutto al Sud. E a quei bambini chi ci pensa? Lo stesso vale per l’illegalità, molto diffusa e radicata in diverse regioni. Non pare che, questa, sia tra le priorità. Eppure, una decisa lotta alla mafia, servirebbe molto di più al Paese, rispetto al controllo di quattro campi nomadi.

Purtroppo, oggi, assistiamo a una politica di bassissima lega. Si lucrano consensi sulla pelle di tanti “poveri cristi”, che non vengono in viaggio da crociera a fare la pacchia in Italia, ma fuggono dalla fame o dalla guerra. Alla ricerca di un futuro migliore, come fecero i nostri connazionali, all’inizio del secolo scorso, emigrando all’estero.

Non c’è più umanità neppure per donne incinte e bambini, trattati da “invasori”, da nemici. Da pericolo per l’Italia. Alla lunga, questa politica ci danneggerà. Sarà un boomerang. Isolerà il Paese dal resto del mondo. Offuscherà l’immagine e il prestigio di un popolo che è sempre stato accogliente e solidale.

Oggi c’è il nuovo che avanza. Ma il “governo del cambiamento” è tutto da provare. Non bastano più gli slogan. Né quella fastidiosa propaganda, che sembra non aver fine. Ora è il momento della verità. Del passaggio dalle promesse (o illusioni) ai fatti concreti. Certo, si deve cambiare. Ma attenzione al peggio. Soprattutto se ci si allontana dai valori fondanti della Costituzione, di cui quest’anno si celebrano i settant’anni. O se si sbiadisce il ricordo delle “leggi razziali”, di cui ricorrono gli ottant’anni dell’emanazione. Senza che ce ne siamo vergognati abbastanza. O, ancora, se si prende a modello la “fortezza Europa”, quella dei muri e dei respingimenti che vorrebbero Orbàn e Marine Le Pen. Piuttosto che l’Europa solidale e della sussidiarietà voluta dai padri fondatori De Gasperi, Schuman e Adenauer.

É ancora fresco il ricordo delle parole di Liliana Segre, tra le poche ancora viventi che porta inciso sul braccio il numero di Auschwitz. Nel suo intervento al Senato ha invitato gli italiani a “respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri”. E ha concluso: “Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano”. Non lasciamola sola.

Infine, un’ultima annotazione. C’è un silenzio che, in questi giorni, è davvero assordante. Tra le fila dell’attuale governo, nel ruolo di sottosegretario alle Pari opportunità, siede chi dal 2008 al 2011 è stato Presidente di Unicef Italia, e poi dal 2011 al 2016 Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Non ha avuto nulla da dire sulla vicenda Aquarius? Eppure, su quella nave c’erano molti bambini, cui è stato impedito
l’acceso ai nostri porti, dopo che erano stati salvati in mare. La tutela dei diritti dei bambini non è ad tempus. Vale sempre. E vale per tutti i bambini, qualunque sia la loro provenienza. Vale anche per quei piccoli messicani che il presidente Trump ha separato dai genitori e tiene dentro delle gabbie. Anche se, bontà sua, sono gabbie attrezzate con la Tv. Batta un colpo, se c’è, colui che un tempo fu valido difensore e
garante dell’infanzia. Non è mai troppo tardi.

Antonio Sciortino
Già direttore di Famiglia cristiana e attualmente direttore di Vita pastorale

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