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Scopriamo le origini di Bonèt, un prelibato dolce, ma non solo

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Bonèt: Cappello, copricapo tondeggiante, Dolce tipico piemontese, a base di amaretto

Ovunque ci sia una società umana, lo spirito irrefrenabile di comunicare si manifesta: sotto gli alberi, nei piccoli villaggi, sui palchi dei teatri, nelle metropoli internazionali, in aperta campagna, attorno al tavolo di una cucina.

Il bonèt, è un copricapo portato anzitutto da memorabili sacerdoti che hanno vissuto nei nostri paesi; la sua forma tondeggiante ricorda quella dello stampo a tronco di cono basso, dove viene cotto il budino, che venne chiamato bonèt ëd cusin-a (cappello da cucina, cappello del cuoco).

Un’altra interpretazione, di origine popolare, che si è data al bonèt, arriva dalle Langhe, zona d’origine di questo dessert. Il nome culinario richiama il cappello in quanto il dolce veniva servito a fine pasto, in analogia con il copricapo, ultimo indumento ad essere indossato prima di uscire da un luogo chiuso.

Il bonèt tradizionale, rigorosamente fatto in casa da mamme e nonne piemontesi, è a base di Fernet, necessario a stimolare e sveltire la digestione. Gli ingredienti principali sono: uova fresche, amaretto, latte, zucchero ed eventualmente. Ma, come vuole ciascun piatto della tradizione, ogni cucina, ogni chisineȓa, ne ha una differente versione, con le sue pregevoli sfumature (caffè, nocciole, cognac, marsala, moscatel…), tutte uniche e squisite.

Si pone sul fuoco lo stampo in cui il budino andrà cotto, vi si versa dentro dello zucchero che si farà caramellare coprendo fondo e pareti. Si travasa il composto di latte e uova nello stampo e si cuoce a bagnomaria sino a che si sia rappreso. Si lascia quindi freddare, dal momento che il dolce si gusta freddo.

E quando invitati e ospiti esagerano con le porzioni di ottimo bonèt, la cuoca sarà senz’altro pronta a incalzare sorniona: sti sì o ȓ’è mej carieje che ‘mpìje (questa gente è meglio caricarla che riempirla)

Paolo Tibaldi

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