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L’«intimità sonora» di Raphael Gualazzi

L’«intimità sonora» di Raphael Gualazzi

L’INTERVISTA Monfortinjazz affida a Raphael Gualazzi l’onere e l’onore di chiudere il cartellone dell’edizione numero 42. Dopo il concerto del 2015, si tratta di un ritorno voluto con forza dall’organizzazione e dal cantautore.
Gualazzi, classe 1981, vincitore di Sanremo giovani nel 2011, ha alle spalle una carriera che, a dispetto dell’età, testimonia di una ricerca musicale che non si preclude alcuna traiettoria. In attesa di vederlo sul palco dell’auditorium Horszwoski sabato 4 agosto, era doveroso fargli qualche domanda.

Raphael, dove ti trovi attualmente? Sei al lavoro su nuovi progetti?
«Mi trovo a Verona, dove vivo, dopo essere stato londinese per qualche tempo. Lavoro al nuovo album; sono nella fase creativa, quella che prediligo. È un periodo propizio, assai stimolante, ed è bello seguire il percorso delle idee che piano piano si trasformano in canzoni. Cerco di divertirmi il più possibile, senza pormi degli obiettivi precisi. Quello che posso anticipare, è che sto approfondendo un discorso sulle contaminazioni musicali. Mi interessano nella misura in cui sono in grado di accentuare la ritmicità di un pezzo. Resto però fedele alla melodia italiana».

Come possono convivere, senza pestarsi i piedi, stili musicali apparentemente lontani? In alcuni tuoi brani sembra evidente il desiderio di confrontarsi con la tradizione musicale nostrana, innovandola con quanto appreso da artisti internazionali.
«Cerco sempre di restituire alla musica una dimensione di verità e di realtà. Per questa ragione, quando scrivo, già immagino di eseguire un pezzo di fronte al pubblico. Un brano, per piacermi, deve allora possedere quella che chiamo intimità sonora. In questa prospettiva, le differenze di stile non appaiono inconciliabili, anzi, arricchenti perché restituiscono la complessità del reale».

Si è sempre un po’ rimproverato all’Italia di arrivare in ritardo rispetto alle novità musicali proposte altrove. Ora che la musica è fruita mediante canali diversi, pensi che qualcosa stia cambiando anche da noi?
«Trovo che l’Italia abbia potenzialità culturali eccellenti. Nel panorama della musica leggera, però, va detto che spesso abbiamo interpretato il ruolo dei colonizzati. Abbiamo importato tradizioni musicali non sempre con la giusta consapevolezza. Eppure vado fiero dell’essere italiano e tante cose belle della nostra cultura mi sono mancate quando vivevo a Londra. Tornato qui, mi sono accorto che, come recita una canzone, “le cose più preziose si trovano accanto”».

Considerato il tuo percorso, c’è un musicista italiano con cui ti piacerebbe lavorare? Qualcuno che ritieni d’ispirazione e affine a te e al tuo modo di reinterpretare la tradizione?
«Potrei fare molti nomi, ascolto tanta musica italiana contemporanea. Mi piace molto Brunori e chissà, magari un giorno gli proporrò di lavorare insieme a un progetto. Apprezzo molto la musica acustica, perché credo che il suono acustico degli strumenti abbia un’infinità di soluzioni, spesso molto più intriganti di quelle offerte dalla musica digitale».

Sul palco del Monfortinjazz si è esibito anche Paolo Conte. Il tuo percorso musicale, così eclettico, ha portato alcuni a indicarlo come uno dei tuoi modelli. Confermi questo parere?
«Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo di persona. Ma, per la sua classe e i suoi straordinari album, lo conosco sin da ragazzino. Mi lusinga che il suo nome venga fatto pensando alla mia musica. Amo soprattutto il carattere evocativo dei suoi lavori, la sua capacità di costruire immagini indelebili».

A proposito di immagini: esiste una relazione fra la musica, immateriale per definizione, e la concretezza di un luogo che la ispira? Sembra la prerogativa delle poetiche espresse da tanti cantautori italiani.
«Io credo di essere apolide. Non sento niente come casa. Questo non significa che non ami Urbino, la città dove sono nato, dove faccio ritorno ben consapevole della sua bellezza e della sua storia. Però, forse per la vita che conduco, sempre in movimento, non ho ancora messo radici. E cerco di farmi influenzare da ogni luogo e da ogni tradizione che l’ha attraversato. Sono ancora alla ricerca della mia casa, ma non dispero».

Raphael Gualazzi si esibirà sabato 4 agosto alle ore 21.30. Come sempre a Monfortinjazz, a chiusura del concerto e del festival, i produttori di Monforte offriranno al pubblico una degustazione di Barolo.

Alessio Degiorgis

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